INVESTIMENTI ESTERI AL TEMPO DELLA PANDEMIA: L’ITALIA RITROVA IL SUO APPEAL

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LA FRANCIA è il Paese più attraente per gli investitori stranieri in Europa. Per il secondo anno consecutivo è in testa alla classifica ‘Europe Attractiveness’ stilata da EY sul 2020, in cui l’Italia si piazza dodicesima, dopo la Russia. Nel terzetto di testa ci sono, come al solito, il Regno Unito (retrocesso al secondo posto dopo il referendum sulla Brexit) e la Germania. Seguono la Spagna al quarto posto e poi Belgio, Polonia, Turchia, Olanda, Irlanda, Portogallo e Russia. L’Italia è da sempre fuori dalla Top Ten, ma può consolarsi per non aver perso posizioni e nemmeno grandi affari l’anno scorso. Tutte le grandi economie europee, infatti, hanno risentito della crisi pandemica e hanno perso molti investimenti esteri rispetto al 2019, ma l’Italia no, anzi, ha messo a segno un notevole +5%, contro il -27% della Spagna, -18% della Francia, -12% del Regno Unito e -4% della Germania (grazie al relativo successo nel contrastare la pandemia, la flessione tedesca è stata meno precipitosa). A livello continentale, il calo medio è stato del 13%.

I progetti di investimento nel Vecchio Continente lo scorso anno sono calati a 5.578 dai 6.412 nel 2019, allontanandosi ancor più dal record di 6.653 segnato nel 2017. Si tratta della prima flessione a doppia cifra dal 2009, quando la crisi finanziaria globale causò un calo dell’11%. Tuttavia, rileva il rapporto, gli investimenti sono arretrati, ma non sono stati decimati durante l’emergenza senza precedenti causata dal Covid-19. Tanto più che alcuni settori si sono mossi in controtendenza e hanno avuto un’ottima annata quanto a investimenti esteri. Sullo sfondo della pandemia, le scienze della vita hanno registrato una crescita del 62% con 265 progetti e la logistica dell’11% a 595 progetti. Il comparto software e servizi It è rimasto tra i più attraenti con 1.046 progetti di investimenti esteri, ma con una flessione del 14%, avvertita soprattutto in Gran Bretagna (-30%) e Francia (-29%), mentre la Germania ha segnato una crescita del 13%. Gli impianti manifatturieri hanno accusato un calo di progetti del 22%, passati da 1.684 a 1.320. Il Paese che ha beneficiato maggiormente degli investimenti esteri, come detto, è stata la Francia con 985 progetti, tallonata dalla Gran Bretagna con 975 e dalla Germania con 930. Le altre economie europee sono distanti da questi numeri: la Spagna ha incassato 354 progetti d’investimento e tutti gli altri Paesi sono al di sotto dei 300, con l’Italia a quota 113.

Per quanto contrassegnati dalla volatilità, gli investimenti in Europa – rileva il rapporto – si sono dimostrati relativamente resilienti perché il Vecchio Continente viene percepito come un contesto stabile, con i fondamentali di cui hanno bisogno gli investitori, ovvero un’abbondante provvista di manodopera con competenze, infrastrutture robuste, stabilità politica e un ampio mercato. Ma l’Europa non può certo dirsi soddisfatta e deve agire rapidamente se vuole restare una meta privilegiata dagli investimenti esteri nel lungo termine. Il Covid ha accesso i riflettori su alcuni fattori particolarmente cruciali, quando si tratta di decidere dove investire. Innanzitutto le competenze, dopo che il Covid ha innescato una forte domanda di tecnologia e di automazione e quindi di competenze digitali. L’82% delle aziende interpellate nel rapporto indica che la disponibilità di forza lavoro con competenze tecnologiche è un fattore importante nella scelta del posto dove investire e il 75% ritiene che sia essenziale anche la rete 5G.

Tra gli elementi presi in considerazione assume un peso sempre maggiore anche la sostenibilità: 9 aziende su 10 la considerano importante per le loro decisioni di investimento e l’85% considera già l’Europa come un ‘leader verde’, ma è un ruolo che va consolidato nel tempo. Ad attirare gli investimenti sono anche le politiche di stimolo introdotte per contrastare la pandemia, in particolare quelle messe sul piatto dalla Ue, così come le prospettive di una profonda trasformazione delle economie e delle società. Un altro punto cruciale è la semplificazione, ovvero la stabilità normativa, la trasparenza e l’armonizzazione. E su questi punti cade l’Italia, dove la stabilità normativa e la trasparenza sono molto carenti.