ISTRUZIONE E RICERCA, LA QUARTA MISSIONE È DA RINCORSA

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LA QUARTA MISSIONE del Piano nazionale di ripresa e resilienza è dedicata a Istruzione e Ricerca e riceve complessivamente 33,81 miliardi di euro, la maggior parte dei quali provengono dal fondo Next Generation Eu (30,88 miliardi), il resto da React Eu (1,93) e dal fondo complementare nazionale (1 miliardo). Buona parte di questi fondi sono destinati all’istruzione di ogni ordine e grado, mentre alla ricerca giungono 12,92 miliardi di euro, 11,44 dei quali provenienti da Next Generation Eu. Oggi il nostro Paese presenta vistose carenze strutturali sia nel campo dell’istruzione che nel campo dell’innovazione tecnologica. Gli studenti italiani di 15 anni si collocano ben al di sotto della media Ocse in lettura, matematica e scienze, con ampie differenze territoriali (risultati migliori della media Ocse al Nord ma molto inferiori al Sud), oltre a mostrare evidenti carenze anche nelle abilità di comunicazione e comprensione logica.

Le carenze continuano a livello d’istruzione universitaria, cun un numero molto basso di laureati: i giovani tra i 25 e i 34 anni che possiedono un titolo di studio di livello terziario in Italia è pari al 28% rispetto all 44% della media Ocse. D’altra parte, molti giovani qualificati che hanno conseguito il dottorato in Italia ogni anno scelgono di trasferirsi all’estero. Un vero e proprio paradosso, considerato che il 33% delle imprese italiane lamenta difficoltà di reclutamento proprio a causa della mancanza di competenze specialistiche. È dunque sempre più necessario arginare la progressiva perdita di talento scientifico. Queste carenze sono accompagnate da un livello molto basso di spesa in ricerca e sviluppo (1,4% contro la media Ocse del 2,4%), sia nel settore pubblico che privato, e da una ridotta domanda di innovazione nel mondo delle imprese, per via della struttura stessa del tessuto industriale, costituito in prevalenza da Pmi, che hanno una maggiore propensione a contenere i costi a discapito dell’innovazione. In Italia esportiamo molto, anche più della Francia, ma soltanto il 7% della nostra produzione ha un alto contenuto tecnologico. In Germania è il 30%. Lo stesso si può dire per il numero di brevetti: l’Italia deposita il 20% dei brevetti della Germania e il 10% degli Stati Uniti.

Dal titolo del capitolo M4C2 del Pnrr, "Dalla ricerca all’impresa", si capisce che l’intervento finanziario per la ricerca ha un indirizzo ben preciso, che è quello di favorire il trasferimento tecnologico e l’innovazione. Del resto uno dei principali punti deboli dell’economia italiana è proprio quello di avere una produzione di beni e servizi a basso contenuto tecnologico e di conoscenza rispetto ad altri Paesi europei e non solo. Nel Pnrr sono previsti finanziamenti a strutture che consentano il partenariato tra università e soggetti privati (1,61 miliardi di euro), a centri di ricerca dedicati a tecnologie considerate strategiche come ad esempio la computazione quantistica (key enabling technologies: 1,60 miliardi) e ad ecosistemi per l’innovazione (1,3 miliardi di euro). Molto, poi, dipenderà da come i fondi verranno assegnati. Il presmier Mario Draghi, rispondendo all’intervento della senatrice a vita Elena Cattaneo, si è detto d’accordo con l’invito ad assegnare tutti i fondi su base esclusivamente competitiva e ha rimarcato la necessità di dare "più fondi alla ricerca su base ordinaria", sottolineando che "ci si ritornerà nella prossima legge di bilancio".

Del resto il Pnrr è uno strumento di intervento finanziario straordinario e non è necessariamente la via attraverso cui rispondere alle richieste della ricerca italiana di ricevere più fondi. La speranza è dunque di vedere queste richieste soddisfatte attraverso leggi di bilancio che assegnino da qui ai prossimi 5 anni i 15 miliardi di euro in più alla ricerca pubblica italiana richiesti ad esempio dal Piano Amaldi, che nasce da un saggio a firma di Ugo Amaldi pubblicato a luglio 2020 sul volumetto "Pandemia e resilienza" curato dal think tank "Consulta scientifica del cortile dei gentili", in cui si chiedeva di alzare i finanziamenti al livello della Francia. Il nostro Paese, ricorda Amaldi, investe in ricerca pubblica 150 euro per ogni cittadino in un anno, la Francia investe 250 euro, la Germania 400 euro. Non solo: la Francia spende il 50% in più dell’Italia in ricerca pubblica, ma spende anche il 35% di più in istruzione pubblica e il 18% in più in sanità pubblica.