Un fascicolo aperto ogni 1.500 metri, i numeri del tracollo di Pedemontana

Già a settembre acquisite carte nell’indagine sul falso in bilancio

L'inaugurazione di un tratto di Pedemontana

L'inaugurazione di un tratto di Pedemontana

Milano, 30 giugno 2017 - Ottantasette chilometri di autostrada che costano quaranta milioni di euro l’uno e sessanta fascicoli giudiziari aperti: uno ogni chilometro e mezzo. È da queste tre cifre che emerge il ritratto del pantano in cui si dibatte Pedemontana, la società controllata dalla Regione della quale i pm di Milano hanno chiesto il fallimento. Una montagna di ricorsi, decreti ingiuntivi, pignoramenti, citazioni, dai piccoli contenziosi per gli espropri al braccio di ferro miliardario con la concessionaria dei lavori, l’austriaca Strabag. Dentro questo quadro di perenne difficoltà economica si iscrive l’attività di indagine della Procura sulla regina di tutte le opere pubbliche. Un lavoro cominciato silenziosamente già nel 2015, quando sulle cartellette finite sul tavolo dei sostituti Roberto Pellicano, Giovanni Polizzi e Paolo Filippini fu tracciata l’intestazione dell’ipotesi di reato: corruzione in concorso. Da questa inchiesta, l’anno dopo, ne era nata un’altra sul falso in bilancio, per la quale a settembre erano state acquisite carte nel palazzone di Assago dove l’azienda ha sede. E proprio dalle verifiche legate a questo filone si arriva alla domanda al Tribunale di staccare la spina all’azienda. Per sempre.

È duro l’atto d’accusa contro i vertici di Pedemontana e le modalità di gestione per una realtà che, secondo il consulente dei pubblici ministeri, a giugno del 2016, aveva 346 milioni di debiti, a fronte di un capitale - l’autostrada fin qui costruita - che genera incassi «in calo». Un’azienda «con criticità la cui soluzione non pare neppure prospettabile», fattori di crisi che «l’imprenditore non ha neppure ammesso». L’indebitamento sarebbe il doppio dei mezzi propri e il patrimonio non potrebbe assicurare gli investimenti, con lavori che ad oggi sono interrotti. In più, i costi totali di realizzazione sarebbero ormai «lievitati sopra i 5 miliardi di euro» e il denaro pubblico, oltre un miliardo, sarebbe già stato speso per l’80%. Ma il peggio, secondo la relazione del tecnico dei pm Roberto Pireddu, sta nelle «appostazioni scorrette tali da rendere inveritiero il bilancio del 2015». Fatti per i quali i pm sottolineano «un interesse di carattere penale», specie se queste alterazioni fossero alla base del dissesto. Quattro i punti che non tornano nei conti dell’azienda: primo fra tutti, non aver creato un fondo per cautelarsi dal debito nei confronti dell’appaltatore, commisurato alle eventuali richieste (si parla di tre miliardi). A pesare, anche le difficoltà nel riscuotere i pedaggi non pagati da chi ha viaggiato a «sbafo» sul tratto aperto, ma anche l’aumento dei costi prevedibili di bonifica delle aree contaminate dalla diossina, frutto del disastro di Seveso del 1976. Ad allarmare, poi, è anche il calo del traffico: meno 50% dei volumi di auto in transito, meno 60% dei ricavi rispetto alle previsioni del 2014. Fattori che, secondo la Procura, si scontrano con «la pervicacia degli amministratori» nel non tener conto delle prospettive che peggiorano.