"SIAMO FIERI DI ESSERE FIERE, ORA SERVE AGIRE"

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"FIERI DI ESSERE FIERE" recita il motto del CFI, la sigla che, in seno a Confindustria, cura gli interessi dei professionisti di quelle expo messe sì all’angolo dal Coronavirus. E però pronte, dallo scorso 15 giugno, a ripartire. Ma il presidente del Comitato Fiere Industria, Massimo Goldoni, oltre a dirsi, appunto, fiero della resilienza mostrata dai 34 organizzatori di kermesse b2b e b2c e dagli operatori degli 88 appuntamenti fieristici internazionali che rappresenta, è impaziente di ripartire, fiducioso nel successo. Già, perché un settore che raccoglieva mediamente ogni anno 45mila espositori e oltre 3 milioni di visitatori, capace di sviluppare 700 milioni di euro di fatturato diretto e di generare ricadute intorno ai 10 miliardi sul territorio nazionale, "non può più permettersi di vivere situazioni come quelle vissute nell’ultimo anno e mezzo".

Serve agire, dunque, dopo mesi in cui sui fatti hanno prevalso le parole?

"Più che l’azione in senso generico servono azioni mirate e immediate, come quelle da noi sollecitate ieri, ancora una volta, durante l’incontro partecipato da Federmacchine, Confindustria Moda e Assoallestimenti che, fissato proprio nel giorno della riapertura ufficiale, ci ha permesso di dialogare su tutte le problematiche del sistema in modo propositivo attraverso una rappresentatività forte e coesa. Al centro della tavola rotonda, ovviamente, c’è stata la questione della deroga al ‘de minimis’ sulle risorse erogabili alle fiere da parte di Bruxelles, ma c’è stato pure molto altro".

Ad esempio, la distinzione istituzionale tra fiere professionali e sagre, che da tempo invocate.

"CFI rappresenta gli organizzatori di esposizioni professionali, che sono il vero braccio operativo del comparto industriale e manifatturiero e che sono rivolte, ancora più che al mercato interno, ai buyer internazionali. Le nostre fiere, infatti, restano la principale espressione degli sforzi compiuti dal Paese sul fronte dell’export, oltre che il banco di prova di investimenti sul marketing ai quali le piccole e medie imprese riservano più di metà del proprio budget commerciale. Essere equiparati alle sagre, con tutto il rispetto, diventa così un esercizio sbagliato, visto che i volumi di affari e la tipologia del partecipante medio, sono molto diversi".

Ma sul fronte dei sostegni europei, comunque, più di qualcosa sembra muoversi.

"Quando la politica sa ascoltare, di solito fa la cosa giusta. Da quando abbiamo chiuso le fiere a marzo 2020, infatti, il problema sono state le tempistiche di attuazione dei provvedimenti pur validi che venivano annunciati, con il risultato di vedere i colleghi tedeschi che ricevevano 642 milioni di euro in deroga ai regolamenti europei e di assistere, in Italia, ad erogazioni di pochi milioni, a copertura di una parte infinitesimale delle perdite del settore fieristico. Ora, al contrario, il Governo ha affermato di essere al lavoro per togliere il tetto entro luglio, poi vanno varati rapidamente i decreti attuativi che si tradurranno finalmente in ossigeno. Per arrivare all’autunno preparati".

Perché? Che cosa accadrà in autunno?

"Con la ripartenza delle fiere da metà giugno, in autunno avremo concentrazioni e densità di fiere senza precedenti, con quelle programmate da tempo che si affiancheranno a quelle rinviate negli scorsi mesi. E l’opportunità, va da sé, è straordinaria perché arrivare pronti e con la dovuta liquidità ci permetterà di dare sbocco a un giro di affari che pesa tanto sul nostro Pil, tenendo presente, accanto a questo, che le fiere in presenza restano una necessità imprescindibile. Perché l’evento fieristico, che può essere integrato ma non sostituito dalla modalità virtuale, non è solo mettere in mostra un prodotto, bensì un insieme organico di attività, workshop e formazione".

Per svoltare davvero, però, occorre che anche voi facciate fronte comune.

"Noi, intesi sia come organizzatori che come comparti del sistema fieristico, abbiamo bisogno di fare sistema e di dare segnali in controtendenza rispetto al passato. E siamo proprio noi a dover elaborare una strategia a medio lungo termine, almeno quinquennale o decennale, per promuovere insieme il Made in Italy e l’ospitalità del nostro Paese. Senza più personalismi, pericolosissimi in un momento delicato come questo, per fare valere la forza trainante di brand conosciuti ed invidiati in tutto il mondo. E, non meno importante, per non rischiare di esporci a una concorrenza straniera sicuramente interessata a pezzi importanti del comparto, mostrando quella coesione che fin qui è mancata"