EconomiaBrazzale: "Latte e burro nel DNA, ma aperti al mondo"

Brazzale: "Latte e burro nel DNA, ma aperti al mondo"

Intervista all'avvocato Roberto Brazzale

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Profondamente radicati nel territorio veneto e nella storia familiare, e altrettanto aperti al mondo, all’innovazione e al cambiamento. Si può riassumere così la filosofia imprenditoriale di Brazzale, la più antica realtà lattiero casearia italiana attiva ininterrottamente dal 1784: "In realtà l’attività di famiglia risale a metà ’500 come quella di ogni famiglia che aveva un gregge di pecore. Abbiamo preso quell’anno come simbolo, perché è la data di nascita del bisnonno del mio trisnonno, e di lui sappiamo con certezza che faceva commercio di burro dall’altopiano di Asiago alla pianura" spiega l’avvocato Roberto Brazzale, uno dei titolari.

Avvocato Brazzale, come si arriva dagli altopiani di Asiago ad avere stabilimenti lattiero caseari in quattro continenti e a lavorare 800.000 litri di latte al giorno?

"L’atteggiamento è quello dei nostri vecchi: anche loro inseguivano le migliori condizioni per il lavoro. Hanno avuto un coraggio enorme a insediarsi in luoghi che di volta in volta diventavano più favorevoli. A fine ’800 sono scesi dall’altopiano alla pianura, negli anni ’50 tra Vicenza e Padova per fare formaggi grana, e poi negli anni ’70 e ’80 in Brasile, e noi nel 2000 in Repubblica Ceca"

Perché proprio in Repubblica Ceca?

"Perché è una regione ideale per la produzione del latte. L’Italia non ha abbastanza terra coltivabile e la pianura padana ha un clima troppo caldo. Per fare buona agricoltura ci vuole la terra, e ci vuole il clima. Se non li hai, non te li puoi dare. Ci siamo guardati intorno, cercando le migliori condizioni possibili e le abbiamo trovate in Moravia, fra Vienna e Praga, l’antica regione agricola degli Asburgo. Per noi è appena al di là delle Alpi, e grazie ai grandi cambiamenti avvenuti dopo il 1989, è stato possibile realizzare una filiera con parametri straordinari per produrre latte per i prodotti tipici della nostra tradizione".

A partire dal grana...

"I miei nonni hanno iniziato a commercializzarlo fra le due guerre, quando in Veneto nessuno lo conosceva. Dopo la fine della guerra, hanno deciso di essere i primi ha produrlo in Veneto. Nel 1954 è nato il Consozio Grana padano, abbiamo aderito fin dalla fondazione".

Oggi il grana lo fate in Moravia.

"Abbiamo iniziato nel 2003 coordinando la filiera di produzione con risultati di altissima qualità. Oggi il Gran Moravia è il nostro prodotto di punta, oltretutto realizzato in modo più moderno e più consono alle esigenze del consumatore. Abbiamo sfruttato questa apertura straordinaria per creare nuovi modelli. La Comunità Europea non è un modo per far debiti da far pagare alle prossime generazioni, è la libertà di cooperare fra i popoli, di muoversi per creare cose nuove: in termini di cultura e di economia. In repubblica Ceca abbiamo anche 23 negozi di vendita diretta: sono in attivo e ci danno uno straordinario riscontro di quel che pensano i clienti".

Storicamente siete anche produttori di burro...

"Il burro è sempre stato il prodotto più importante del latte, fino a pochi decenni fa costava il doppio del formaggio, perché contiene la parte più preziosa, più nobile del latte, la parte lipidica. Poi mode e disinformazione lo hanno messo in disgrazia, un atteggiamento che ora per fortuna è cambiato, anche grazie alla scienza che ne ha rivalutato le proprietà nutrizionali".

Nel burro quindi voi credete molto?

"Qualche anni fa ci siamo resi contro che in Italia non esisteva un ’burro supremo’: e lo abbiamo realizzato. È fatto con latte appena munto, subito centrifugato e trattato con l’obiettivo di fare prima il burro e non il formaggio: abbiamo rovesciato un paradigma, con grandi risultati. Il ’Burro Fratelli Brazzale’ è diventato un cult sui mercati esteri, soprattutto Francia e Germania, apprezzatissimo dagli chefe dai pasticcieri, e non solo, ad esempio perché è immediatamente spalmabile appena uscito dal frigo. Ovvio che costi di più, ma è un prodotto principale e non ’di risulta’".

La prossima innovazione?

"Abbiamo iniziato a fare i burri aromatizzati: in questo modo il burro ritorna il re della tavola".

Brazzale produce in Repubblica Ceca, Brasile, Cina, Stati Uniti: che cosa è per voi l’internazionalizzazione?

"Di certo non solo vendita all’estero: per noi vuol dire espandere il ciclo produttivo, cogliere l’occasione di fare prodotti migliori e di creare molta più ricchezza in Italia, perché la ricchezza non ci crea immobilizzando in modo irrazionale in un determinato luogo, ma inseguendo e realizzando flussi di margini operativo, essendo competitivi nel mondo. Per chiarezza: nel 2000 avevamo cento dipendenti in Italia, oggi ne abbiamo 400, e altri 400 ne abbiamo in Repubblica Ceca, dove nel 2000 non avevamo nessuno".

Come sta andando il mercato mondiale?

"C’è nell’aria uno straordinario aumento del consumi, sul 2,5% all’anno, l’Europa è un contine te che invecchia e ha consumi meno frizzanti, mentre il resto del mondo va. La Cina cresce moltissimo, è il più grande importatore mondiale di prodotti lattiero caseari, e non ha possibilità di ottenere l’autosufficienza. Abbiamo aperto un caseificio in Cina, non vogliamo insegnare cosa è buono e cosa è cattivo, vogliamo lavorare e offrire qualcosa che corrisponda ai desideri e ai gusti della clientela, adeguando l’offerta alla sensibilità del consumatore".

Che impatto ha avuto il Covid?

"Complessivamente, l’industria mondiale alimentare ha dimostrato flessibilità. Con ristoranti e mense chiusi, la gente ha comunque mangiato ma in modalità diverse, il che ha significato reinventarsi nel retail. Per noi è stato un anno di grandissimi cambiamenti, anche con nervosismo, ma alla fine, pur nelle montagne russe e nel riassortimento, le vendite si sono confermate. Abbiamo chiuso il fatturato 2020 a 210 milioni di euro. È stato un anno prezioso per cercare modi nuovi, entrare nuove di linee di distribuzione, nuovi clienti. Le crisi sono benedette perché ci costringono a reinventarci, a far meglio, a diventar più bravi".