LA SFIDA È INVESTIRE SULLA TRANSIZIONE ECOLOGICA

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UN DESERTO che avanza, un’alluvione devastante, specie animali estinte, erosione delle coste e innalzamento del livello dei mari: sono solo alcuni dei fenomeni evidenti del cambiamento climatico. Ma ce ne sono altri, invisibili e profondi, che incidono sui redditi e sul nostro benessere. Lo dicono i numeri. Se non dovessimo intraprendere alcuna azione per contrastare il cambiamento climatico, con un prevedibile aumento della temperatura di 3,2 gradi, arriveremmo infatti a bruciare più del 18% del Pil globale entro il 2050. Un quinto della ricchezza, pari a circa 23mila miliardi di dollari. E pure con qualche passo avanti, ma senza raggiungere gli obiettivi degli Accordi di Parigi – che prevedono di arrivare a zero emissioni nette di Co2 nell’atmosfera a metà del secolo – il reddito globale perderebbe comunque più del 10%. In ogni caso, anche nella migliore delle ipotesi – cioè quella in cui i target stabiliti alla Cop26 fossero centrati e l’aumento delle temperature rimanesse inferiore ai 2 gradi centigradi – si contabilizzerebbero comunque quattro punti di Pil persi.

Fosche previsioni che si evincono dalla lettura di un imponente studio realizzato dallo Swiss Re Institute, il braccio di ricerca operativa del primo gruppo di riassicurazione al mondo. Il surriscaldamento globale, infatti, provoca un’accelerazione dei fenomeni atmosferici gravi: ghiacciai millenari che si sciolgono, terreni fertili che diventano aridi, foreste che scompaiono, piogge torrenziali improvvise che devastano interi territori. E tutto questo ha non solo un costo di vite umane: blocca il lavoro, affligge l’agricoltura, paralizza industrie e commercio, mette a rischio l’approvvigionamento di acqua e cibo, provoca conseguenze anche sulle finanze pubbliche e, indirettamente, su quelle di banche e assicurazioni. Sempre secondo Swiss Re, il 55% del Pil globale dipende dal corretto funzionamento degli ecosistemi naturali e, purtroppo, il 20% oggi è a rischio per il pericolo di perdita della biodiversità, con 39 Paesi al mondo, tra cui il nostro, che hanno ecosistemi che versano in condizioni critiche su almeno un terzo del loro territorio. L’Italia è infatti diciottesima, comunque nei peggiori venti e la quinta più a rischio nell’Eurozona (dopo Malta, Grecia, Spagna e Belgio). In ogni caso, è evidente, cambiamento climatico e perdita di biodiversità sono due sfide gemelle che, oltre al rischio ambientale, influenzano il funzionamento complessivo delle economie. Un effetto che potrebbe essere esiziale soprattutto per il motore della crescita globale. Il Sud-Est asiatico perderebbe infatti il 37,4% del pil entro il 2050 in caso di ‘non azione’ (contro il 18% della media del pianeta) e il 17% (a fronte dell’11%) se non si dovessero raggiungere gli obiettivi di Parigi. Questo ovviamente avrebbe contraccolpi diffusi anche in Occidente. Perciò all’ultimo vertice internazionale sul clima Stati Uniti e Cina, Europa e Russia, si sono trovati concordi nel dire che bisogna muoversi subito. E costruire un sistema finanziario sostenibile. L’unica risposta possibile è quella coordinata a livello globale. Passando il prima possibile dalle intenzioni alle azioni concrete.

Tuttavia, la transizione ecologica ha un costo, e neanche piccolo. Deve però essere vissuto come un investimento che, da un lato, porta a spendere meno in futuro, e dall’altro, evita un danno emergente enorme, quello di un pianeta devastato. Prendiamo la carbon tax: se dovesse entrare in vigore ci sarebbero perdite superiori al 40% degli utili nei settori dell’energia, ma se dovesse rimanere una chimera i danni sarebbero assai maggiori. Per questo bisogna scegliere quale medicina prendere. Biden, nella sua prima legge di bilancio da 6mila miliardi di dollari, riserva ampie risorse per azioni di contrasto al cambiamento climatico. Doveroso. Poi bisogna riflettere su cosa è veramente green e cosa invece no. E buttare il cuore oltre l’ostacolo anche in Europa. E in Italia, soprattutto. Prendete le rinnovabili. Siamo tutti concordi nel dire che siano meglio degli idrocarburi, ma perché diventino realtà sono necessari gli impianti, siano essi eolici o fotovoltaici. Purtroppo, ogni volta che viene presentato un progetto, anche se rispettoso dell’ambiente e degli ecosistemi, si alzano barricate all’insegna del “non nel mio giardino”. Eppure, qual è l’alternativa? Lasciare tutto com’è. Ma anche lo status quo ha un prezzo. Salato.

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