"KEDRION È UN PONTE CHE PORTA IL PLASMA AI MALATI"

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UN MERCATO costantemente in crescita, quello del plasma, ma non per questo semplice considerata la concorrenza e la poca disponibilità della materia prima. Accanto a player esteri di una certa portata, soprattutto economica, c’è un’azienda italiana, la Kedrion Biopharma, con sede storica in Toscana, in provincia di Lucca, che fraziona il plasma umano per lo sviluppo di farmaci utilizzati per la cura di malattie rare come: emofilia, immunodeficienze e altre gravi patologie. Fondata nel 2001, di proprietà della famiglia Marcucci. Molto presente a livello globale, preserva un certo legame col territorio di cui il presidente Paolo Marcucci va molto fiero. "Nella nostra strategia di sviluppo, i siti all’estero sono dedicati ad una prima parte della filiera, quella più basilare. Mentre in Italia concentriamo la fase della purificazione, quella a maggior valore aggiunto. Questo perché ci teniamo a investire nel luogo dove siamo cresciuti e perché crediamo nel know-how del nostro territorio: siamo presenti in Toscana, che è la terza regione per produzione farmaceutica in Italia, che è primo paese in Europa".

Che cos’è Kedrion oggi?

"Kedrion è fondamentalmente un ponte tra i donatori e coloro che necessitano di cure per poter condurre una vita normale. Siamo operativi nella filiera integrata: dalla raccolta del plasma allo sviluppo, produzione e distribuzione del farmaco. Abbiamo tre diversi modi di raccogliere il plasma: acquisito sul mercato da raccoglitori terzi; attraverso i nostri 30 centri di raccolta negli Stati Uniti a donazione renumerata e, infine, mettendo a disposizione le nostre strutture per quei paesi a donazione non renumerata. Dopodiché ci occupiamo di far arrivare i farmaci ai pazienti attraverso i canali distributivi delle istituzioni sanitarie. Produciamo farmaci che derivano da proteine del plasma come le immunoglobuline, l’albumina e i fattori della coagulazione, utilizzati per patologie come le immunodeficienze, l’emofilia, le malattie del fegato, la rabbia e l’epatite B".

In quali Paesi arriva Kedrion?

"Ad oggi raggiungiamo circa 100 paesi nel mondo, con una quota di esportazione del 78%. Il primo Paese di sbocco sono gli Stati Uniti con il 37% del fatturato, secondo è l’Europa con il 35%, di cui l’Italia al 25%".

È un settore con grande concorrenza?

"È un settore dominato da 3 giganti mondiali: un’azienda australiana, una spagnola e una americana. Poi c’è un’azienda svizzera che ha una dimensione intermedia e poi noi. Siamo quinti a livello mondiale e al primo posto a livello nazionale nel settore dei plasma-derivati".

L’azienda però si sta espandendo.

"Esatto. A giugno abbiamo chiuso un accordo con la canadese Liminal BioSciences, specializzata in sviluppo clinico, che ci permette di ingrandire le nostre operazioni nel Nord America. L’accordo prevede l’acquisizione di due centri plasma, un impianto di produzione canadese che conta 135 dipendenti e la licenza su un prodotto al quale stavamo lavorando già internamente, il plasminogeno. Si tratta di una proteina plasmatica alla quale crediamo molto e dalla quale verrà realizzato il primo farmaco approvato dalla Fda americana per il trattamento di una malattia rarissima sistemica molto rara: il deficit congenito di Plasminogeno. Una carenza che provoca gravi complicazioni all’occhio, fino alla cecità. La proteina su cui lavoriamo noi va a sostituire quella che dovrebbe essere prodotta dal corpo e risolve il problema. La licenza, inoltre, prevede l’esclusiva per 7 anni della vendita sul mercato americano".

A che punto siete?

"Contiamo di lanciare il prodotto da ottobre in poi. Partiremo dall’America, poi guarderemo ad alre aree del mondo. Appena saremo pronti per l’Ema passeremo all’Europa e ad altri Paesi dove l’incidenza della malattia è molto alta".

Che tipo di mercato è quello del plasma? Quali sono le maggiori difficoltà?

"È un settore che negli ultimi 20 anni ha avuto una crescita costante, con un tasso del 7% annuo. Non sempre, però, è seguita da una crescita di disponibilità di plasma. Una delle sfide che il settore ha dovuto, e sta tuttora affrontando, è senza dubbio il Covid. Il nostro settore ne è uscito gravemente danneggiato. Questo perché la diffusione del virus e le conseguenti misure restrittive hanno fatto si che calassero di molto le donazioni. Abbiamo registrato una notevole diminuzione della raccolta del plasma con picchi del -40% raggiunti nel maggio 2020 e nel marzo 2021. Meno materia prima significa prezzi e costi più alti, con particolare tensione su alcune aree geografiche. Questo, nella maggior parte dei casi, ha significato una sostanziale riduzione dell’intensità dei trattamenti e dell’arruolamento di nuovi pazienti. Per fortuna non abbiamo dovuto fare i conti con cali della produzione grazie a una certa quantità di scorte e all’abnegazione dei nostri collaboratori".

Lo scorso aprile l’Aifa ha bloccato, in via precauzionale, alcuni lotti dei vostri farmaci plasmaderivati per il sospetto di una malattia neurodegenarativa in un donatore. Uno stop simile per voi cosa comporta?

"A preoccupare era la possibilità di una variante della malattia del morbo della mucca pazza. In Italia abbiamo una peculiare normativa, unica solo qui e in Francia. Ogni volta che si riscontra un caso del genere, si procede col blocco in attesa di avere conferma della malattia. I problemi nascono dal fatto che, pur essendo una normativa non valida nel resto del mondo, l’Aifa è tenuta a comunicare il blocco a tutti. Questo può creare allarmismo e sfiducia sui prodotti plasma derivati e di conseguenza anche verso l’azienda italiana. L’obiettivo principale è la salvaguardia di un dono prezioso come il plasma, anche perché la pandemia ha determinato una forte diminuzione della raccolta, con impatto negativo sulla disponibilità dei farmaci. Per l’Italia l’obiettivo è raccogliere più plasma, per essere autosufficiente nella produzione dei plasmaderivati".