INVESTIMENTI, FINALMENTE: SLANCIO STABILE ALLE AZIENDE DINAMICHE

Migration

GLI INVESTIMENTI, finalmente. Una componente decisiva della nostra economia che per decenni è stata in declino, sottovalutata, dimenticata, è tornata a crescere. Anche se non abbastanza, comunque più che negli altri paesi europei. Di conseguenza, anche l’economia mostra segnali positivi: anche se non assistiamo ad un boom economico, ma solo ad un rimbalzo rispetto alla drammatica caduta del Pil dello scorso anno, il ritorno degli investimenti ha dato slancio stabile alle aziende più dinamiche, alla manifattura, alle imprese esportatrici, che hanno già recuperato i livelli pre-pandemia. Ora, la variazione del Pil nel secondo trimestre non può essere paragonata con lo stesso periodo del 2020 (quello del lockdown pieno), altrimenti si registra uno spropositato +17,3%, ma solo con il primo trimestre 2021 (con un più indicativo +2,7%). E la spinta arriva proprio dagli investimenti, oltre che da export e (un po’) consumi interni.

Con le riaperture le famiglie sono giustamente tornate a spendere, ma purtroppo, anche a causa di varianti e no-vax, l’indice della fiducia ad agosto ha registrato il primo calo dopo otto mesi di crescita consecutiva (Istat). Insomma, per la domanda interna vige l’incertezza, mentre per l’industria possiamo contare su qualche certezza. Gli investimenti fissi lordi segnano +0,5% e l’export netto +0,3%. E se pure le imprese hanno svuotato i magazzini, provocando un -0,8% nel computo del pil, prima o poi dovranno tornare a ricostituire le scorte, e quindi a sostenere la ripresa. Se poi i dati del periodo luglio-settembre non saranno strabilianti, sarà solo perché andranno confrontati con l’eccezionale rimbalzo dell’estate del 2020 che arrivò, anche allora, per merito della manifattura. Che infatti oggi ha già quasi superato la crisi determinata dal Covid. Allargando l’inquadratura, emerge che grazie all’industria, molto più che ai consumi, la crescita acquisita quest’anno è già del 4,7% e che, plausibilmente, potremo arrivare a +6%. Non c’è però da esultare, visto che a giugno il Pil dell’area Ocse è inferiore di 0,7 punti rispetto ai livelli pre-pandemia, mentre l’Italia resta a -3,8% (peggio di noi solo la Gran Bretagna, con -4.4%). Un handicap che va sommato al ritardo accumulato nei decenni precedenti (a fine 2019 eravamo l’unico paese a non aver recuperato il livelli antecedenti la crisi del 2008) e che, guarda caso, combacia proprio con anni in cui investimenti, pubblici e privati, sono stati progressivamente declinanti. Insomma, se è troppo presto per esultare, è più che fondata la speranza che qualcosa sia cambiato.

Edilizia, elettrodomestici, metallurgia, mobili sono alcuni dei settori che hanno già recuperato i livelli del 2019. Secondo l’Istat, il fatturato dell’industria nel primo semestre registra +28,4% su base annua. Per Banca Intesa tra i primi cinque mesi del 2021 e lo stesso periodo del 2019 ci sono 5,3 punti percentuali in più. Le previsioni per il 2021 della prima banca italiana stimano poi un aumento del fatturato del manifatturiero del 12% sul 2020 e del 5% sul 2019. Mentre gli investimenti fissi lordi potrebbero arrivare a crescere, rispettivamente, del 15% e del 4,4%. Sembrerà strano, ma per la prima volta da tempo, gli investimenti crescono più dei consumi. Naturalmente gli incentivi pubblici e la liquidità in circolazione aiutano, ma è anche vero che in Italia non sono mai mancate imprese in grado di accettare e vincere le sfide dei mercati internazionali, della tecnologia e dell’innovazione. Purtroppo, per decenni sono state zavorrate in un sistema poco efficiente popolato da aziende poco performanti. Amaramente, c’è voluta una pandemia per azionare una sorta di selezione darwiniana in cui le componenti più dinamiche sono riuscite a prevalere. Uno scatto di cui avevamo bisogno e che in tanti chiedevamo da tempo. Lo stesso Mario Draghi, prima ancora di arrivare a Palazzo Chigi, aveva parlato del problema delle ‘aziende zombie’. Chissà che non sia la volta buona. Consapevoli che per colmare il ritardo accumulato nello sviluppo del settore tecnologico servono ingenti capitali. Ma anche talento, o meglio competenze applicate, e una cultura imprenditoriale vocata all’innovazione. Ingredienti che in Italia sono sempre stati minoritari e che oggi, invece, riescono ad emergere e prevalere. Ma guai a fermarci ora.

twitter @ecisnetto