I MINI REATTORI NUCLEARI? UN CORO DI NO FERMA SVILUPPO E RICERCA

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PREVENUTO, aprioristico, dogmatico. Solo così si può definire il coro di no che si è alzato di fronte all’apertura di una riflessione sulle opportunità di sviluppare il nucleare di quarta generazione, senza uranio arricchito e senza acqua pesante. Un diniego tutto ideologico, scattato come un riflesso pavloviano e arrivato fino a minacciare di morte il ministro Roberto Cingolani, reo di aver messo il tema sul tavolo. Un’ondata feroce così forte da costringere lo stesso ministro a fare in qualche modo marcia indietro. Eppure, non si parla di impianti da costruire, di una scelta già fatta, ma solo di una nuova tecnologia da valutare e, se del caso, sviluppare. Insomma, si parla di scienza.

Peccato, perché per andare verso l’azzeramento della produzione di anidride carbonica entro il 2050 (ad oggi le fonti fossili coprono l’80% della domanda globale) in tutto il mondo si sono messi a lavorare sulle nuove frontiere dell’energia atomica: ‘mini-reattori’ verdi, efficienti, con minori rischi rispetto al passato visto che avrebbero la capacità di spegnersi da soli quando la temperatura sale oltre un certo livello. Si tratta di qualcosa di diverso sia dalle centrali di seconda generazione costruite negli anni Settanta (oggi al mondo si contano 440 reattori che generano circa 400 gigawatt, il 10% dell’elettricità mondiale), sia dai reattori di terza generazione (ce ne sono in costruzione una cinquantina). I tecnici dicono che rispetto a questi due “antenati” sono stati compiuti “passi da gigante”. La differenza fondamentale è che, invece di una separazione di parti di atomi come nella fissione, si passa all’unione di atomi leggeri, quelli dell’idrogeno. Al momento, ed è ancora una fase di studio, sono in ballo diverse soluzioni per rendere realtà questa nuova tecnologia, tuttavia resta il problema di dover contenere le temperature elevatissime che si generano (16 milioni di gradi). Nella migliore delle ipotesi potremo vedere qualcosa di concreto tra vent’anni, ma se oggi le rinnovabili stanno prendendo una forma industriale è proprio perché le stiamo studiando da decenni.

Giustamente, l’Italia sta valutando se inserire nel Pnrr un finanziamento alla ricerca sul nucleare. Attenzione però, non per nuovi reattori, ma per fare ricerca sfruttando le enormi competenze presenti nel nostro Paese. All’Enea, per esempio, ci sono strutture attive da 20 anni in questo campo e il know how da valorizzare è potenzialmente sconfinato. Per questo, se poi l’Unione europea dovesse inserire nella “tassonomia” delle energie rinnovabili anche il nucleare (come ha già fatto la Cina), se cioè si dovesse arrivare alla certezza di poter produrre elettricità con pochi chili di rifiuto radioattivo, bassi costi e sicurezza elevata, sarebbe folle escludersi dalla partita prima ancora di cominciare e buttare tutto alle ortiche. D’altra parte, questo oltranzismo ideologico non è una novità, specie in campo ambientale. La Regione Lazio, con il cosiddetto ‘emendamento Lombardi’, ha da poco bloccato i processi autorizzativi del fotovoltaico in attesa della mappatura delle aree idonee. Anche sui rifiuti esiste una ferrea opposizione ad ogni nuovo impianto di trattamento, dal quale molti paesi ricavano energia, mentre noi siamo con la ‘monnezza’ per le strade. Oppure sull’eolico, in particolare quello off-shore, c’è sempre qualche comitato pronto ad opporsi. Pensate poi al Tap, il gasdotto che porta il gas dal Mar Caspio in Europa, a lungo paralizzato perché qualcuno non voleva spiantare e ripiantare gli ulivi.

Ce ne accorgeremo con la crisi energetica in corso in cui la domanda eccede, di molto, l’offerta e le bollette schizzeranno alle stelle. Ciò che serve è aumentare la fornitura di energia, non diminuirla. Si dirà: c’è stato un referendum nel 2011 che ha detto no al nucleare. Ora, a parte che il quesito faceva riferimento ad una tecnologia completamente diversa, adesso non si sta parlando di impianti, ma di consentire al nostro Paese di investire in ricerca e sviluppo. Insomma, non siamo ancora al bivio tra ‘assolutamente si’ e ‘assolutamente no’. Siamo al punto di partenza di una corsa lunga e potenzialmente rivoluzionaria oltre che per l’energia, per la nostra economia e per l’ambiente. Voler abbandonare prima del via significa arrendersi prima ancora di combattere.

twitter@cisnetto