DAI RIFIUTI PUÒ NASCERE RICCHEZZA, IL RECOVERY SPINGA L’ITALIA

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C’È CHI, COME ROMA, non costruisce nuovi impianti da anni e non sa più dove mettere i rifiuti, con la conseguenza di ritrovarsi la città invasa da topi, gabbiani e cinghiali che banchettano tra i cassonetti, in centro come in periferia. C’è chi invece, come Copenaghen, ha aperto in pieno centro un termovalorizzatore in grado di bruciare 70 tonnellate di rifiuti l’ora. Un impianto diventato famoso, oltre che per l’elegante silhouette, per la pista da sci sintetica che ci è stata costruita sopra (tra l’altro da un’azienda italiana). Due approcci sideralmente opposti alla questione dei rifiuti. Da un lato la capitale italiana che l’ha affrontata male (o non l’ha affrontata affatto) e si ritrova in piena emergenza a dover spendere un sacco di soldi per mandare la sua immondizia ad altri siti. Dall’altro la capitale danese, che ha capito come risolvere il problema e per di più tirarci fuori ricchezza.

Dal letame nascono i fiori, cantava De Andrè, ma al di là della musica è evidente che dall’immondizia si possano far nascere posti di lavoro e creare crescita economica. Un approccio inedito per noi, che ci preoccupiamo solo di “smaltire” i rifiuti, in discarica o all’estero, mentre servirebbero nuovi impianti di riciclo, trattamento e conversione. Senza attendere la svolta degli investimenti pubblici, si dovrebbe innanzitutto facilitare quelli privati e delle multiutility. Ma, per questo, il settore pubblico deve finalmente interiorizzare che il comparto si deve basare (anche) sul profitto. Per quanto riguarda il riciclo sembra aver funzionato. Secondo un rapporto della Fondazione Symbola l’intera filiera del riciclo industriale genera infatti complessivamente oltre 70 miliardi di fatturato, 14,2 miliardi di valore aggiunto e oltre 213mila occupati. Questo consente un risparmio annuo pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate di Co2. Tra l’altro, dal recupero di metalli, carta, vetro, plastica gli impianti di compostaggio ricavano altre risorse. Per esempio, gli scarti organici diventano fertilizzante o, negli impianti definiti anaerobici, metano. Qualcuno è addirittura in grado di estrarre anidride carbonica che poi finisce nelle bibite gassate. Tuttavia, nonostante i tassi mediamente alti di riciclo, ci sono situazioni molto critiche, come a Roma, dove è già partita la caccia alla discarica di emergenza. Una cosa che sarebbe comunque un palliativo, perché tra qualche mese saremo al punto di partenza. Invece ci sarebbe bisogno di altro.

Fortunatamente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dedica una sezione apposita all’economia circolare e alla gestione dei rifiuti. Anzi, dice espressamente che l’obiettivo è "colmare i divari di gestione dei rifiuti relativi alla capacità impiantistica". Per questo vengono stanziati 1,5 miliardi per realizzazione e ammodernamento di strutture di trattamento e riciclo (di cui il 65% nel Mezzogiorno), oltre a 600 milioni destinati a "progetti faro" su particolari flussi di materiali, come plastiche, carta e scarti del tessile. Fondi che potrebbero non essere abbastanza, ma che vanno considerati in combinato disposto con i capitali privati. Il pubblico può infatti essere la leva per azionare gli investimenti privati, a patto che il comparto possa essere visto come industriale e in grado di generare ricchezza e lavoro, e vengano quindi anche rimossi tutta una serie di vincoli e ostacoli di natura normativa. Molte imprese del settore, infatti, chiedono da tempo una semplificazione dei percorsi di autorizzazione per le procedure di recupero dei materiali. Purtroppo nell’ultimo DL Semplificazioni vengono prese alcune misure marginali, sulla sola gestione. Lo stesso ministro Cingolani – in audizione parlamentare congiunta tra la Commissione Industria e Ambiente, segno che le due cose sono collegate – ha dedicato ampio spazio ai "lacci e lacciuoli" che bloccano i cantieri ambientali: leggi scritte male, competenze distribuite peggio, una burocrazia che non vuole rischiare e una pletora di decisori e poteri di veto. Le marginali modifiche del DL Semplificazioni sulla gestione dei rifiuti non bastano. Ecco, il legislatore non si deve mettere di traverso rispetto alle imprese. E deve mandare segnali chiari e concreti alle imprese per indurle a continuare a investire in impianti di recupero, trasformazione e riciclo dei rifiuti. E far nascere fiori, cioè ricchezza, dal letame.

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