"ARTIGIANI PRONTI A RIPARTIRE E ORA LE RIFORME"

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STIAMO USCENDO dalla pandemia, ma il prezzo pagato dagli artigiani e dalle piccole e medie imprese è stato senza precedenti.

I numeri parlano da soli, presidente.

"Le piccole imprese hanno sofferto molto durante la pandemia – avvisa Marco Granelli, leader della Confartigianato –. Hanno chiuso 79.000 aziende artigiane e sono diminuite del 17% le aperture di nuove attività. Dati che comunque non ‘fotografano’ fino in fondo le gravi difficoltà vissute. Secondo l’Ufficio studi Confartigianato, le piccole imprese hanno subito un calo di fatturato di circa 160 miliardi. Tra febbraio 2020 e marzo 2021 sono ‘scomparsi’ dal mercato del lavoro 345mila lavoratori indipendenti e il 34,5% delle micro e piccole imprese avrà gravi problemi di liquidità almeno fino all’estate. Senza contare l’aumento del costo delle materie prime".

Chi ha patito di più? E chi ha resistito?

"Tra i settori più colpiti la moda: nel 2020 ha perso il 22% del fatturato, pari a 15,5 miliardi di euro in meno, con 10 miliardi di minori esportazioni. Ma i piccoli imprenditori hanno anche resistito, sforzandosi di riconvertire, diversificare la produzione e di innovare, usando l’arma delle tecnologie digitali, ad esempio, per vendere on line i loro prodotti o per fare formazione a distanza. Pensi che le nostre imprese della moda si sono inventate le fiere digitali per promuovere e vendere le loro creazioni in tutto il mondo".

C’è anche, però, chi, come il governatore di Bankitalia, punta l’indice proprio sulle micro-imprese come causa principale della fragilità del sistema produttivo.

"Dico che siamo alle solite. Alle analisi di alto valore del Governatore devo rispondere che ha poco senso prendersela con le piccole imprese: il problema dell’Italia non sono loro, bensì l’ambiente che li circonda, come peraltro affermato anche dal Governatore. Ciò che deve cambiare non è la ‘taglia’ aziendale, ma le condizioni di un habitat nazionale poco favorevole all’iniziativa economica, sia essa micro, piccola, media o grande. Si può essere grandi imprenditori, in termini di creatività, lungimiranza, produttività, innovazione, anche con un’azienda di due dipendenti. Del resto, se siamo il secondo maggior Paese manifatturiero in Europa e leader globale nei settori di punta del Made in Italy, dall’agro-alimentare alla moda, dal legno-arredo alla meccanica, il merito è anche dei 4,2 milioni di piccole imprese che rappresentano il 99% di tutte le aziende d’Italia, che danno lavoro al 65% degli addetti, realizzano 355 miliardi di valore aggiunto e 132 miliardi di esportazioni con prodotti di eccellenza fatti davvero in Italia".

Piccole imprese d’eccellenza, spesso multinazionali tascabili, che, però, devono fare i conti con un sistema che non aiuta: quali sono gli ostacoli che frenato l’attività?

"È quasi banale ricordare il fardello di tasse e di burocrazia oppure le condizioni delle infrastrutture materiali e immateriali che, troppo spesso, deprimono i migliori entusiasmi degli imprenditori, piccoli o grandi che siano. Abbiamo troppe tasse, troppo complicate e troppo pesanti. Le dico soltanto una cifra: nel 2021 in Italia il carico fiscale, secondo previsioni della Commissione europea, sarà superiore di 24 miliardi rispetto alla media dell’Eurozona. Siamo ultimi in Europa e al 128° posto nel mondo per la pressione del fisco, i tempi e le procedure per pagare le tasse".

E, forse, è meglio non citare l’altra vostra bestia nera: la burocrazia.

"Quanto alla burocrazia, l’Italia è al 23° posto nell’Ue per l’eccesso di complicazioni amministrative e al 58° posto tra 190 Paesi nel mondo per la facilità di fare impresa. Le faccio un esempio, per realizzare un appalto in Italia servono 7 mesi in più rispetto alla media Ue, a causa dei numerosi passaggi burocratici che incidono per il 54,3% sui tempi complessivi per completare le opere. Anche l’utilizzo del superbonus 110% è frenato dalla burocrazia: il 52% delle imprese segnala ritardi nell’inizio delle attività a causa di problemi amministrativi e il 42,5% lamenta le mancate risposte dagli uffici pubblici. Ma in cima alla lista di ciò che non va c’è un altro capitolo".

Quale?

"Al vertice della lista delle cose da cambiare c’è il credito. Nessuna impresa nasce grande e capitalizzata. Come si può pensare di avviare un’azienda e di farla crescere se molto spesso il sistema bancario non dà fiducia e considera i finanziamenti ai piccoli imprenditori una sorta di ‘area a fallimento di mercato’? Difficile per i nostri imprenditori essere competitivi in queste condizioni!".

Ora, però, c’è il Recovery Plan e ci sono le riforme inevitabili se vogliamo ottenere i fondi europei. Che cosa vi attendete?

"Meno fisco, meno burocrazia, più credito, innovazione e migliori infrastrutture materiali e immateriali. E, soprattutto, fiducia nel talento e nelle capacità degli imprenditori. Il Piano deve essere l’occasione per rilanciare la nostra economia. Ci sono tanti buoni propositi. Ma attenzione a fare in modo che i progetti del Piano siano accessibili all’artigianato e alle piccole imprese. Le misure dovranno tener conto delle micro e piccole imprese nel sostegno delle produzioni verso soluzioni green, verso la riqualificazione energetica e la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio immobiliare, nel potenziamento delle infrastrutture, nel turismo, nella cultura come leva di generazione imprenditoriale, nell’innovazione e nelle tecnologie digitali. Insomma noi confidiamo in un Piano anche a misura di artigiani e di micro e piccole imprese".