"All'Italia serve una industria digitale forte per poter crescere""

Domenico Favuzzi, ad di Exprivia

Domenico Favuzzi, ad di Exprivia

Come si rende efficace la ’grande transizione’ che aspetta l’Italia nei prossimi anni? Il tema sarà al centro del Convegno Nazionale 2021 dei Cavalieri del Lavoro, sabato 18 settembre a Bologna: "La transizione è dettata da alcuni problemi e opportunità – spiega Domenico Favuzzi, Cavaliere del Lavoro, presidente e amministratore delegato di Exprivia, gruppo internazionale di consulenza nell’Information Technology –. Sicuramente c’è il tema dell’ambiente e del cambiamento climatico insieme alla globalizzazione dei processi economici, sociali e sanitari".

Dottor Favuzzi, come si uniscono sfida contro il cambiamento climatico e digitalizzazione?

"Con tecnologie, conoscenze, competenze che consentano un miglior utilizzo delle risorse naturali verso una economia il più possibile circolare, che tenga conto del cambiamento climatico come parametro fondamentale. Strumenti e tecnologie della transizione digitale mettono al centro dei processi l’uomo e i dati che fornisce, e attraverso l’analisi dei dati si possono più efficienti ed efficaci i processi".

La pandemia è stata un banco di prova?

"Sì, ha dimostrato come con la digitalizzazione dei processi si può modificare il mondo del lavoro, della sanità, della Pa, migliorando la qualità della vita delle persone, sia come soggetti economici che come cittadini".

A che punto siamo?

"La pandemia ha accelerato i tempi e sopratutto ha aumentato la consapevolezza, sia nella classe imprenditoriale che in quella dirigente, della necessità di adottare questi strumenti. C’è moltissimo da fare, e la mancanza di una vera cultura digitale è il primo ostacolo".

Come si favorisce la crescita di una cultura digitale nel nostro Paese?

"Intervendo su molti livelli. Certo i giovani possono essere avvantaggiati, ma c’è il rischio che sappiano utilizzare in modo banale gli strumenti, e non siano capaci di estrarne valore. Il mondo della scuola deve trasformarsi e potenziarsi in questo senso, sopratutto per il futuro".

E per l’oggi?

"C’è un problema di re-skilling, di aggiornamento di tutta la forza lavoro, soprattutto la parte più debole. Va affrontato in termini di organizzazione del lavoro, nel pubblico e nel privato, con un maggiore coinvolgimento delle istituzioni formative, a partire dalle università. Che possono immaginare un loro ruolo nella attività di re-formazione. Ma c’è un campo di intervento più necessario".

Quale?

"I decision maker, coloro che devono guidare certi processi, hanno ancora bisogno di cultura in questo senso: gli imprenditori, i funzionari Pa, i politici che indirizzano le strategia. Sarebbero necessarie azioni di formazioni ad hoc verso questi mondi, azioni accelerate perché poi possano guidare il resto della trasformazione".

Il PNRR è una grande opportunità...

"Avrà una dotazione economica importante, il delta è quanto andrà ad investimenti in trasformazione rispetto al semplice mantenimento di rendite già esistenti. I soldi ci sono, i progetti anche, speriamo ci sia la volontà dei decisori e della classe dirigente di trasformare davvero il Paese".

Qual è la mossa strategica da fare?

"Bisogna rafforzare l’industria digitale italiana. In uno scenario globale, la dipendenza di processi core da competenze e disponibilità internazionali diventa rischiosa: se queste risorse scarseggiano si rischia di mettere in crisi la capacità del Paese di competere e continuare a svilupparsi".

Quanto serve una industria digitale forte a sostegno di tutto il sistema Paese?

"Le Pmi, le grandi aziende, tutte le nostre eccellenze dalla moda all’aerospazio, hanno bisogno del digitale per crescere. Quindi avere una industria digitale italiana che possa sviluppare un propria capacità di innovazione a livello mondiale è veramente importante. Nella mia esperienza, però, la politica è molto lontana da questi temi e ha difficoltà a capirne l’importanza"

Abbiamo già anche tante eccellenze tecnologiche: le valorizziamo abbastanza?

"Non essendoci stata attenzione verso il mondo dell’innovazione, è chiaro che le capacità sono rimaste isolate, e rischiano di essere attratte facilmente da capitali stranieri. Ad esempio, si parla sempre di startup, ma quando una startup inizia ad avere successo è costretta di fatto ad abbandonare il Paese, perché i fondi di investimento in questo ambito pretendono che si trasferiscano, dove le dinamiche decisionali sono più rapide".

Usa o Cina? Qual è lo scenario migliore?

"Faccio il tifo per l’Europa. Certamente Cina e Stati Uniti sono due universi in forte competizione, con l’affermazione di modelli culturali che cercano di vincere attraverso la tecnologia. Il modello culturale che mi piace di più invece è quello europeo. Per questo auspico che l’Italia e l’Europa inizino a compattarsi per colmare il gap: dobbiamo lavorare per attrarre capitale umano, invece lo esportiamo".

Exprivia lavora da molti anni sulla trasformazione digitale: cosa c’è nel vostro futuro?

"Stiamo investendo molto nella sanità, nel mondo delle banche, sulle intelligenze artificiali, in cui abbiamo partecipazioni in diverse startup, e nel mondo dell’Iot. Siamo un operatore con un portafoglio di progetti molto ampio, su diversi mercati. Stiamo crescendo bene affrontando le varie sfide a partire da quella del capitale umano, che è un problema di scarsa disponibilità di competenze. Facciamo molta formazione, al nostro interno e con scuole superiori e Università. La formazione deve essere continua, perché nell’IT le competenze diventano rapidamente obsolete. È faticoso ma è anche la parte più interessante di questo lavoro".