La “cura dimagrante“ dei big della moda tra incentivi all’esodo e tagli

Il caso Cavalli: "Futuro incerto, gli arabi disertano gli incontri". Ma la crisi colpisce soprattutto i piccoli, cig per 250 imprese

L’ultima Milano Fashion Week

L’ultima Milano Fashion Week

Milano - Colossi dell’alta moda stanno applicando “cure dimagranti“, attraverso accordi di incentivi all’esodo per i dipendenti e tagli dei costi. Puntano le loro carte sull’e-commerce, propongono shopping personalizzato e a distanza in attesa di un ritorno a Milano di turisti e viaggiatori business. Il calo delle commesse si scarica sulle piccole e medie imprese, dalle pelletterie alle sartorie artigianali, che lavorano per le multinazionali del lusso. Si lasciano alle spalle un anno di crisi nera, e guardano a un futuro ancora incerto. "Ci stiamo occupando di diverse situazioni critiche – spiega Simona Lupaccini, segretaria della Filctem-Cgil di Milano – a ci sono piccole imprese che hanno perso fino al 50% del loro fatturato, con i dipendenti in cassa integrazione a rotazione da più di un anno". 

Solo nella Città metropolitana di Milano nel settore tessile, che nel tessuto imprenditoriale del territorio comprende anche centri produttivi d’eccellenza a livello mondiale, sono oltre 250 le imprese che finora hanno aperto procedure di cassa integrazione, in molti casi limitate alla prima fase della pandemia. E la grande incognita è legata alla fine del blocco dei licenziamenti, che potrebbe aprire la strada ad esuberi di massa nel settore. Una delle situazioni più incerte sul tavolo dei sindacati è quella della Roberto Cavalli, celebre marchio ora di proprietà dell’araba Damac Properties. Qui la “cura dimagrante“, partita prima della pandemia, ha già ridotto i dipendenti da 150 a una trentina. Sono rimasti i lavoratori che hanno accettato di trasferirsi a Milano in seguito alla chiusura della storica sede a Sesto Fiorentino, in Toscana. Gli altri hanno dovuto optare per l’uscita incentivata, trovandosi davanti a due strade: cercare un nuovo lavoro o attendere la pensione.

Chi ha scelto di spostarsi in Lombardia, però, non si trova ancora in acque tranquille. "La preoccupazione dei lavoratori è legata al rischio di nuovi trasferimenti – spiega Lupaccini – e noi da mesi chiediamo un incontro alla nuova proprietà perché ci delinei la strategia e il piano industriale. Gli appuntamenti continuano a slittare e in questo modo è difficile intessere relazioni". 

I sindacati milanesi dei settori tessile e commercio si preparano a un’iniziativa pubblica, per chiedere a Comune e Regione di aprire un tavolo sul futuro della capitale della moda e sul ruolo di Milano post-Covid. Le vie dello shopping contano infatti chiusure di negozi - per citare un caso, il ridimensionamento della presenza a Milano del marchio di lingerie La Perla - non solo del comparto fast fashion. Simbolo culturale dell’Italia nel mondo e seconda industria manifatturiera italiana, la moda sta vivendo una crisi profonda. Fattura complessivamente 100 miliardi ma oggi perde il 25% del fatturato e nel 2020 ha subito un calo dei ricavi del 17%. In uno scenario favorevole, secondo gli ultimi dati del ministero della Cultura, la crescita potrebbe attestarsi intorno al 15%, ma la strada da percorrere è in salita.