Enogastronomia, in Lombardia grandi sapori ma scarso turismo

La regione prima nella ristorazione ma secondo uno studio del Touring fatica a essere una meta gourmet

Vendita di prodotti tipici del Parco del Ticino (Studio Sally)

Vendita di prodotti tipici del Parco del Ticino (Studio Sally)

Milano, 29 gennaio 2019 - Blasonata e ricca di prodotti agroalimentari ma non adeguatamente percepita e desiderata come regione dove quando apprezzare e gustare del buon cibo e un grande vino. E se è un dato in “chiaro e scuro” è anche un’evidenza metaforica quella rilevata dal nuovissimo Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano presentato ieri a Milano nella sede del Touring Club: la Lombardia stenta a imporsi nell’immaginario collettivo dei connazionali come destinazione faro per le loro esplorazioni gourmet, nonostante si aggiudichi il primo posto assoluto nell’ambito della ristorazione (da quella “stellata” a quella più informale, declinata allo Street Food) e si trovi sul podio per numero di prodotti certificati e di qualità (formaggi, salumi, etc.), per produzione vitivinicola e per presenza di agriturismi.

Non riesce a fare meglio la stessa Milano che pure sfoggia numeri che nessun’altra città può vantare in termini di rating e scelta. E tra le righe di questo pregevole lavoro realizzato da Roberta Garibaldi, docente e consulente di turismo enogastronomico presso l’Università di Bergamo, s’intuiscono anche le ragioni. Una su tutte: l’insufficiente capacità del territorio compreso tra Garda e Ticino di raccontare e raccontarsi, di presentare il cibo come esperienza anche culturale e umana, di offrire ai tanti traveller in cerca di esperienze cosiddette immersive la narrazione e il famoso storytelling che oggi il pubblico sembra gradire e richiedere. La morale è lapidaria: mangiare e bere bene non basta, la gente vuole conoscere, sapere, scoprire, incontrare produttori, contadini, artigiani. Tant’è. È comunque boom del turismo dei sapori. Se nel 2016 la gola golosa incideva per il 21% tra le cause di viaggio e nel 2017 per il 30%, siamo arrivati addirittura ad un 45% degli italiani che negli ultimi tre anni avrebbe organizzato un short break o un fuori porta con questa motivazione. E se il 59% degli italiani considera l’esperienza enogastronomica un valore assoluto, è interessante registrare che a regalarsi queste esperienze siano gli appartenenti alla cosiddetta “Generazione X” (ossia i nati tra il 1965 e il 1980) ma anche i Millennials (1981-1998), il ceto più benestante ma anche quello economicamente meno attrezzato. Sta di fatto che ben l’86% degli intervistati ha sostenuto di avere partecipato almeno 5 volte ad esperienze legate al cibo e al vino, contro il solo 32% che confermava le stesse esperienze ancora nel 2016.

Le sfide? Sono aperte, specie con i competitor che evidentemente sono riusciti a fare meglio passare messaggi emozionali. Tra tutte, brillano la Sicilia, la Toscana, l’Emilia Romagna e la Puglia, che capeggiano la classifica delle “regioni più desiderate” per l’enogastronomia. E tra le città, si confermano le magnifiche cinque, Napoli al primo posto, seguita da Roma, Firenze, Bologna e Palermo. Resta il peso specifico della Lombardia, peraltro anche in comparti non tradizionali come quello delle “micro-birrerie” dove la regione si piazza al primissimo posto (105 aziende). Con la ristorazione ancora una volta a fare da star, se è vero che detiene il record di locali aperti (51mila) e delle “stelle Michelin” (161, ovvero il 18% di tutte quelle insignite dalla mitica guida rossa). Infine la Rete, indicatore non secondario del gradimento. Anche qui, molto da fare. Loro, Lombardia e Milano, nella ristretta serie delle regioni e città più gettonate e prenotate online non c’è: e invece, sorridono Toscana, Lazio e Campania, quindi Roma, Firenze e Venezia.