Così la pandemia cambia le strategie dei manager

Nicola Spagnuolo, direttore del Cfmt

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di Andrea Ropa

"Attenti a non generare false aspettative intorno allo smart working: quello esercitato finora dalla maggior parte delle aziende, infatti, non può essere definito tale ma più propriamente lavoro a distanza". Una differenza sottile ma sostanziale secondo Nicola Spagnuolo (nella foto), esperto di processi formativi e direttore del Cfmt (Centro di Formazione e Management del Terziario), secondo cui abbiamo assistito a un cambiamento nelle pratiche lavorative imposto dalle condizioni esterne e non liberamente scelto, una tipologia di lavoro non ricercata dal singolo lavoratore e non contrattata con l’azienda in base alle esigenze di ambo le parti.

Dunque si è trattato della risposta all’emergenza per salvaguardare il business. Un’esperienza da archiviare o da sviluppare?

"Dando per assodato che quanto visto fino ad ora, neanche giuridicamente, è definibile smart working, non dobbiamo cestinare tutto quello che manager e aziende hanno fatto. Anzi, molti sono gli insegnamenti che si possono capitalizzare".

Può fare qualche esempio?

"Le aziende con un management più lungimirante sono riuscite a disegnare processi organizzati che poggiano su solide basi, creando una nuova cultura aziendale condivisa e delle nuove competenze: hanno reso opportunità un’imposizione. In alcuni casi abbiamo assistito ad un upskilling delle competenze: manager e aziende hanno capito che il paradigma socio economico stava cambiando velocemente e le competenze impiegate fino a quel momento non erano più in grado di affrontare le sfide del nuovo presente. I manager hanno allocato il loro tempo in una sorta di self assessment e hanno allenato quelle competenze trasversali utili non solo nel qui ed ora, ma che permettono loro di gestire repentinamente il cambiamento, supportare i propri team e avere una visione il più possibile strategica".

Cfmt e Manageritalia hanno promosso una ricerca che ha avuto come interlocutori più di mille dirigenti: quale scenario è emerso?

"I risultati dell’indagine dimostrano che non solo il singolo dirigente ha dovuto cambiare stile di management in questo periodo di pandemia, ma che ci fosse la necessità di un vero rinnovamento culturale all’interno di ogni realtà aziendale. Abbiamo ascoltato i dirigenti e abbiamo raccolto informazioni sul team, sulle paure, sulla fiducia nel futuro e su un nuovo modo di valutare il lavoro del singolo, basato sugli obiettivi raggiunti e non solo, o non più, sulla presenza fisica".

Questo cambiamento in quale modo impatterà sugli investimenti delle aziende?

"Il 43,3% dei manager interpellati indica che serviranno più investimenti in formazione, mentre solo il 30,7% indica la consulenza strategica e l’11% pensa che si investirà meno del consueto. La formazione, in questo nuovo paradigma, è stata scelta dai dirigenti tra gli strumenti principali per affrontare la ripresa. Da un lato la formazione manageriale supporta il singolo a mantenere alte e allenate le proprie competenze e la propria occupabilità sul mercato, dall’altro la formazione diventa strumento imprescindibile per colmare i gap esistenti e supportare la costruzione di nuovi modelli di cultura aziendale, senza i quali le aziende non possono sopravvivere ed essere competitive".

Dopo che avremo sconfitto il virus, in quale misura lo smart working farà parte delle nostre vite?

"Probabilmente alla fine del tunnel ci troveremo di fronte a un nuovo paradigma economico-sociale, nel quale lo smart working si andrà affermando più che in passato. Ma dobbiamo essere consapevoli che l’attività da remoto potrà essere davvero produttiva, efficace ed efficiente solo se sussistono una serie di condizioni e se una visione strategica collettiva sarà orientata a rimuovere vincoli e gap strutturali con i quali noi italiani dobbiamo fare costantemente i conti".