Coronavirus, lo studio: "Cassa per teatri e musei, il Covid è un dramma"

L’analisi della Bocconi e del presidente lombardo del Fai: "Cultura, modello di business precario: bisogna cambiare sistema"

Andrea Rurale, presidente di Fai Lombardia

Andrea Rurale, presidente di Fai Lombardia

Milano, 30 maggio 2020 - Tre teatri su quattro (76,5%) hanno fatto ricorso ad ammortizzatori sociali e hanno risolto i contratti con fornitori e compagnie (73,5%). Tra i musei, invece, meno di uno su due (48,7%) ha messo in cassa integrazione i propri dipendenti e “solo“ il 17,9% ha disdetto o pensa di farlo accordi già sottoscritti. Lo rivela uno studio della Sda (Scuola di direzione aziendale) della Bocconi di Milano coordinato da Andrea Rurale, presidente di Fai Lombardia (Fondo ambiente italiano), sull’effetto del coronavirus sulla cultura.

La ricerca ha analizzato un campione di musei - musei civici, poli museali regionali, gallerie, fondazioni musei nazionali autonomi - e teatri - fondazioni liriche sinfoniche, teatri di tradizione, associazioni teatrali indipendenti - tra il 20 aprile e il 12 maggio, il periodo compreso tra le ultime settimane di lockdown e l’inizio della Fase 2, la ripresa. "I musei avranno più facilità a ripartire – sottolinea Rurale, coordinatore della ricerca –. Il distanziamento sociale è impensabile in una sala teatrale sia tra il pubblico, dove metà della platea risulterebbe vuota, sia sul palcoscenico dove si potrebbero mettere in scena solo monologhi. Inoltre nei musei le opere sono già presenti ed esposte: gli accessi possono essere limitati e nelle sale si possono predisporre percorsi obbligatori, mentre i teatri devono interagire con manager, artisti e pubblico".

Professor Rurale, come può ripartire la cultura? "Sicuramente da una considerazione: la fruizione virtuale non può sostituire quella reale. Una Netflix dell’arte, tanto per fare un esempio, può essere solo un’esperienza complementare a una diretta. Al museo e a maggior ragione a teatro". Durante la chiusura, però, per la maggior parte delle istituzioni culturali è stata una scelta quasi obbligata... "Musei e teatri hanno garantito una presenza costante sui social utilizzando soprattutto materiale d’archivio per creare storyrtelling: dalla nostra ricerca emerge che il 77% del campione ne ha fatto ricorso e il 65% ha proposto contenuti per giovani. Hanno dimostrato la validità dell’offerta artistica. Tuttavia queste attività sono gratuite e non fanno altro che sottolineare ulteriormente la precarietà di un modello di business che dipende troppo dagli introiti dei biglietti e dalle sponsorizzazioni". Cosa occorre modificare? "Le istituzioni culturali devono fare al proprio interno un’analisi. Purtroppo manca una vocazione manageriale mentre questa crisi ha messo in evidenza, a ogni livello, l’importanza di manager reattivi. I teatri non possono più continuare a vivere solo con l’incasso dei biglietti come liquidità per pagare attori e fornitori. Senza un intervento pubblico e finanziamenti a fondo perduto, non a pioggia ma sulla base di obiettivi, non se ne esce".