"Gli alberghi devono lavorare. La via è la decontribuzione"

Della Frera: situazione pesante e sarà così sino a primavera. Cassa integrazione poco efficace

La reception di un albergo

La reception di un albergo

Milano - Arrivano al 40 per cento, raccontano gli operatori del settore, le disdette delle prenotazioni registrate in dicembre e riferite ai primi due mesi del 2022. Sia sul fronte camere che su quello della convegnistica. Una doccia fredda che ha rimesso in allarme il comparto alberghiero che chiede al governo nuovi concreti interventi, vista la pesante crisi che ancora grava sul turismo. «Il settore, questo, più penalizzato dall’inizio della pandemia e ora di nuovo frenato dopo un autunno che sembrava improntato sull’ottimismo», spiega Guido Della Frera, imprenditore del settore e parlamentare, firmatario di un ordine del giorno presentato da Coraggio Italia, accolto dal governo un mese fa e ora alla base di un emendamento al decreto Mille proroghe per il prolungamento della decontribuzione Inps nel primo trimestre di quest’anno. «Una proposta - commenta - che va nella direzione del governo di tenere aperte le attività. La politica dei ristori non è la soluzione, meglio aiutare gli imprenditori del turismo a continuare a lavorare, evitando così che mettano i dipendenti in cassa integrazione».

In realtà molti alberghi non hanno mai riaperto dal primo lockdown. «Vero. Ma in città come Milano, Brescia, Venezia, Torino la maggior parte degli alberghi è aperta ed è bene che resti tale. Riaprire un hotel dopo mesi di fermo non è come girare una chiave nella serratura. Il rischio è di non trovare più il personale di prima. Molti, da un anno a questa parte, hanno preferito cambiare lavoro. Lo stato d’emergenza, al momento, finisce il 31 marzo. Ci sono elementi per sperare in una primavera meno drammatica. Dunque è fondamentale dare agli imprenditori la possibilità di resistere durante questi mesi difficili senza costringerli a sospendere l’attività».

Per il settore si profilano comunque ristori e una proroga della cassa integrazione. «Questo ammortizzatore ha senso in caso di riorganizzazione aziendale. A fronte di una fase come questa non è così utile. E comunque la nostra proposta lascia aperte entrambe le opzioni: sì alla cassa per chi preferisce restare chiuso, ma sì anche alla decontribuzione per chi vorrà lavorare e assicurare uno stipendio pieno ai propri dipendenti».

A fronte di quali costi? Le casse dello Stato possono permetterseli? «Parliamo di 300-400 milioni a trimestre. Lo strumento è già stato applicato, da settembre a dicembre. Quindi il governo ha in mano i dati per decidere. La proroga non è generalizzata. Riguarda solo gli operatori turistici, gli alberghi e le strutture termali. Insomma i comparti più in sofferenza».

Quanto ha perso Milano? «Chiudiamo il 2021 con più del 50 per cento di perdite di fatturato».