Airbnb, Corte Ue dà ragione all'Italia: può chiedere ritenute sugli affitti brevi

La sentenza prevede l'obbligo di ritenuta d'imposta alla fonte. Airbnb: "Massima collaborazione, aspettiamo la decisione del Consiglio di Stato". Plauso Federalberghi: "Devono versare la cedolare secca"

Airbnb nel mirino dei comuni italiani

Airbnb nel mirino dei comuni italiani

Un punto a favore e uno contro Airbnb nella querelle relativa alle ritenute per gli affitti brevi finita davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. E' quanto emerge dalla sentenza pronunciata questa mattina a Lussemburgo, a conclusione della vertenza iniziata nel 2017. La Corte ha dato parzialmente torto ad Airbnb nel ricorso sul regime fiscale italiano per le locazioni brevi introdotto nel 2017: la legge può chiedere di raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate, e soprattutto di applicare la ritenuta d'imposta alla fonte prevista dal regime fiscale nazionale. Il tribunale ha dato invece ragione ad Airbnb sulla parte relativa all'obbligo di designare un rappresentante fiscale, giudicato "una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi". 

Cosa prevede la legge

La legge stabiliva che a partire dal primo giugno 2017 i redditi derivanti da contratti di locazione non commerciali non superiori a 30 giorni sono soggetti a una ritenuta del 21%, dovuta all'erario, qualora i proprietari interessati abbiano optato per tale aliquota preferenziale, e i dati relativi ai contratti di locazione devono essere trasmessi all'amministrazione fiscale. Quando incassano i canoni o svolgono un ruolo nella loro riscossione, i soggetti che svolgono attività di intermediazione immobiliare devono effettuare, in qualità di sostituti d'imposta, la ritenuta sull'ammontare dei canoni e provvedere al relativo versamento all'Erario. I soggetti non residenti privi di una stabile organizzazione in Italia hanno l'obbligo di nominare, in qualità di responsabili d'imposta, un rappresentante fiscale. 

Cosa ha deciso la Corte 

Nella sua sentenza, la Corte constata che i tre obblighi introdotti nel diritto italiano nel 2017 rientrano nel settore fiscale e sono, di conseguenza, esclusi dall'ambito di applicazione di talune direttive fatte valere da Airbnb. La Corte si dedica quindi all'esame della legittimità delle tre misure unicamente alla luce del divieto di restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione posto all'articolo 56 Tfue (uno dei due trattati fondamentali dell'Unuione). L'obbligo di ritenuta dell'imposta alla fonte s'impone, secondo i giudici a Lussemburgo, tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall'Italia, quanto alle imprese che hanno ivi uno stabilimento. La Corte esclude, dunque, che sia possibile ritenere che il obbligo vieti, ostacoli o renda meno attraente l'esercizio della libera prestazione dei servizi. Rispetto alla parte della sentenza in cui il tribunale a Lussemburgo ha dato invece ragione ad Airbnb, quella cioè  sull'obbligo di designare un rappresentante fiscale, il fatto che l'amministrazione fiscale disponga già delle informazioni ad  essa trasmesse relative ai contribuenti - segnala la Corte - è tale da semplificare il suo controllo e dà ancor più rilevanza al carattere sproporzionato dell'obbligo di designazione di un rappresentante fiscale.

Airbnb: "Massima collaborazione, aspettiamo decisione Consiglio di Stato"

In una nota un rappresentante della compagnia fa sapere: "Airbnb ha sempre inteso prestare massima collaborazione in materia fiscale e supporta il corretto pagamento delle imposte degli host applicando il quadro europeo di riferimento sulla rendicontazione, noto come DAC7. L'azienda non è dotata di un rappresentante fiscale in Italia che possa svolgere da sostituto d'imposta. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha chiarito che l'obbligo di designare un  rappresentante fiscale in Italia è in contrasto con il diritto europeo. In attesa della decisione finale da parte del Consiglio di Stato, continueremo ad implementare la direttiva UE in materia".

Federalberghi: "Bene corte Ue su affitti brevi. Airbnb deve versare cedolare secca"

"Airbnb deve riscuotere e versare allo Stato italiano la cedolare secca sugli affitti brevi. È questo il succo della sentenza pronunciata questa mattina a Lussemburgo dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, a conclusione della vertenza iniziata nel 2017". Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, nell'esprimere apprezzamento il pronunciamento della Corte, ricorda che "la federazione è intervenuta nel giudizio al fianco dell'Agenzia delle Entrate per promuovere la trasparenza del mercato, nell'interesse di tutti gli operatori, perché l'evasione fiscale e la concorrenza sleale danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza". "La sentenza odierna segna un punto importante - prosegue il presidente degli albergatori - ma resta del percorso da compiere. I prossimi passi toccano al Consiglio di Stato, che dovrà pronunciarsi recependo la sentenza europea, per consentire poi all'Agenzia delle Entrate di recuperare le imposte non pagate durante sei anni di sfacciata inadempienza, applicando le relative sanzioni. In parallelo - conclude Bocca - chiediamo al Governo e al Parlamento di mettere ordine nella giungla degli appartamenti ad uso turistico, che si nascondono dietro la foglia di fico della locazione, ma in realtà operano a tutti gli effetti come strutture ricettive e quindi devono essere soggetti alle medesime regole di base previste per alberghi, affittacamere e bed and breakfast".