NUOVI PROTEZIONISMI NEGLI SCAMBI INTERNAZIONALI

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IL RECENTE contenzioso assunto agli onori di cronaca tra la Russia e la Francia per l’uso del nome “Champagne” è un caso interessante, forse sfuggito alla maggior parte dei lettori, su quanto complesso e tuttora acceso sia il conflitto protezionistico negli scambi agro-alimentari internazionali. Una breve ricostruzione dell’antefatto può aiutare il lettore. Nel mese di luglio Putin ha firmato una serie di nuove regole su come debbano essere le etichette di spumante che circolano nel suolo russo. Sintetizzando molto, i vini russi potranno chiamarsi shampanskoe, con evidente richiamo al nome champagne che, come noto, è una denominazione di origine protetta francese e soprattutto europea. Il riferimento all’etichetta originale francese sarà ancora consentito sulla parte anteriore della bottiglia ma, cosa molto strana e foriera di probabile confusione, il termine che specifica che si tratta di “spumante” potrà esser indicato solo sul retro della bottiglia. La vera sintesi del problema è che il termine “Champagne“ non è protetto in Russia come indicazione geografica e quindi risulta una denominazione generica non proteggibile.

Naturalmente e giustamente la reazione dei produttori francesi è stata di bloccare ogni esportazione in Russia in attesa che si giunga ad un chiarimento. Ma la vera natura del contendere, al di là dei dettagli tecnici con cui si esercitano queste nuove forme di barriere protezionistiche, è appunto l’obiettivo russo, non troppo nascosto, di ridurre la dipendenza dalle importazioni. Tanto che dal 2015 il governo ha lanciato una serie di programmi settoriali per sostituire le importazioni con la produzione nazionale. Il tema si ritrova in ogni Paese che vede progressivamente crescere le proprie importazioni a “danno” di quelle nazionali. A nulla valgono le diplomazie internazionali se si agisce come presa di forza per mostrare i muscoli negli accordi internazionali. Specie se decisioni, come queste, nascono in modo unilaterale

davide.gaeta@univr.it