"LA CARNE ITALIANA? BUONA, SICURA E PIÙ ETICA"

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LA BISTECCA di oggi è cambiata: più sana, più saporita e anche più etica. A spiegare perché è lo stesso Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Inalca (Gruppo Cremonini), azienda leader a livello mondiale nel settore delle carni bovine.

Dottor Scordamaglia, quali sono le tendenze in atto che si possono ravvisare nel comparto della carne a livello di consumi? E quali sono le tipologie di carne che più stanno risentendo della situazione congiunturale?

"Dopo una tendenza in riduzione negli ultimi anni il consumo di carne bovina è oggi stabile, attestandosi in Italia intorno ai 17 chilogrammi pro capite annuo di consumo apparente. Se però consideriamo il consumo reale, non riferito cioè ad un valore teorico con ossa e tendini, ma solo alla parte realmente edibile, la quantità giornaliera di carne bovina che ogni italiano consuma è di circa 25 grammi. Un quantitativo di gran lunga al di sotto della soglia dei 100 grammi di carne rossa giornalieri che l’Organizzazione Mondiale della sanità consiglia di non superare, e la cui ulteriore riduzione potrebbe provocare effetti negativi da carenza di vitamine proteine essenziali. Sempre più attenzione è stata anche posta al benessere animale, con sistemi di certificazione che vanno spesso oltre gli obblighi di legge".

È lecito aspettarsi delle "sorprese" nei consumi di carne nel breve periodo, diciamo entro il prossimo biennio?

"La pandemia e la conseguente chiusura del canale della ristorazione ha creato soprattutto problemi alle carni di vitello tradizionalmente indirizzate verso il canale del fuori casa, e ai tagli pregiati del vitellone che, trovando nella grande distribuzione l’unico mercato di sbocco, hanno subito una drastica riduzione del prezzo di vendita nelle fasi a monte della filiera, prezzo che è rimasto invece pressoché invariato nella vendita al dettaglio. Quelle catene di ristorazione veloce che sono invece riusciti a compensare la chiusura del servizio al tavolo e sviluppare con particolare efficienza l’asporto o il drive through, hanno avuto invece importanti tendenze di crescita. Questo dimostra anche che il consumo di hamburger, di cui la nostra azienda è leader in Europa, sempre più di qualità e di carne da allevamenti italiani, sta crescendo in maniera rilevante nel nostro Paese come già avvenuto nella stragrande maggioranza degli altri paesi. Per il resto non mi aspetto sorprese particolari e bolle o mode, come la carne sintetica, rimangono tali sono fino a quando vengono sostenute da campagne promozionali massicce. Solo nel 2020 nella fake meat sono stati investiti circa 3,9 miliardi di euro, ma il consumatore capirà presto che non si possono sostituire prodotti naturali come la carne o i derivati del latte con prodotti di sintesi".

La carne italiana è ancora la migliore del mondo? Perché?

"La carne prodotta dagli allevatori italiani è assolutamente unica. Non solo per gli standard di sicurezza, come dimostrano i risultati sui contaminanti pubblicati dall’Efsa e riguardanti tutte le nostre filiere, con livelli di contaminazione bassissimi mediamente pari alla metà di quelle europee e meno di un quarto di quelle provenienti da altri paesi terzi. Ma anche perché il nostro sistema di allevamento è unico, utilizzando il mais ottenuto in azienda e tecniche da parte dei nostri allevatori che rendono impossibile ottenere gli stessi risultati qualitativi anche con la stessa genetica animale in qualsiasi altra parte del mondo".

Cosa sta facendo Inalca per la tutela e lo sviluppo di una filiera 100% italiana?

"Inalca è profondamente convinta che il rilancio dell’allevamento bovino in Italia porterà tantissimi benefici non solo per i consumatori e produttori, ma anche i territori e le comunità. Rilanciare l’allevamento bovino soprattutto nelle zone interne, nelle isole, nel sud Italia, vuol dire ripopolare aree abbandonate ai dissesti idrogeologici e spesso anche all’illegalità".

Conviene oggi fare l’allevatore?

"Oggi il prezzo della carne bovina riconosciuto nelle fasi a monte della filiera è assolutamente inadeguato. Non è accettabile che negli Anni ’90 la carne costasse intorno alle 8000 lire il chilo (peso carcassa) e che oggi il valore medio del Kgcarcassa sia sempre quattro euro, con tutti i costi dell’energia alla manodopera più che raddoppiati in oltre 30 anni! Di contro, il prezzo di vendita al consumatore è aumentato in maniera importante, creando nella maggior parte dei casi un gap tra produttori e trasformatori da una parte e grande distribuzione dell’altro. Con le catene di distribuzione che più vogliono valorizzare l’allevamento italiano abbiamo avviato un dialogo per sanare tale incongruenza".

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