Il prete che spiega il Vangelo con il teatro

Il teatro può andare in scena in chiesa? La risposta è sì, e con pieno successo, come dimostra il felice esperimento di un parroco, che ha coinvolto i bambini in un’improvvisata rappresentazione di una scena del Vangelo di San Giovanni. L’episodio delle Scritture, nella messa domenicale, riguardava il miracolo dell’uomo cieco dalla nascita, che ritrova la vista grazie a Gesù. Siamo in una chiesa lombarda e le panche, compatibilmente con i limiti imposti dalla pandemia, sono riempite a posti alterni. Perché molti genitori, anche non abituali frequentatori della funzione festiva, sono venuti ad accompagnare i bimbi che si preparano alla prima confessione e alla Comunione. Il parroco, lo si nota presto, è un vero divulgatore. Tutt’altro che formale, riesce a tenere alta l’attenzione con un linguaggio pieno di immagini e di aneddoti. Insomma, chi ha frequentato una chiesa prima o poi si sarà imbattuto in un’omelia, la predica insomma, recitata con tono monocorde, con il risultato di indurre un moto ipnotico, o quantomeno di distrarre. Qui non accade. Anzi, a un certo punto, dopo avere letto la versione breve del Vangelo di Giovanni, il sacerdote chiede a un chierichetto di avvicinarsi e di mettersi una benda sugli occhi. “Ci vedi?“, dice. “No“, risponde il bimbo. “Molto bene, ecco quello che provava quest’uomo“. Poi prende un bastone da vecchietto e glielo mette in mano. Quindi, prendendolo sottobraccio, lo accompagna tra gli ostacoli, i gradini e l’altare. Il dialogo costante tra il bambino e il prete avviene in un silenzio assoluto. Il sacerdote spiega al bambino come un uomo cieco dalla nascita non avesse allora altra possibilità che mendicare, per sopravvivere. Poi mima il miracolo del fango. Passa una mano sugli occhi del piccolo e lo invita a bagnarsi il viso, come fece il Cristo con l’acqua della piscina di Siloe. Infine toglie la benda. “Ecco quello che è accaduto. La Luce, per la prima volta, passa negli occhi di quest’uomo“. Il bambino sorride e la gente, spontaneamente, applaude. per la semplicità, ma anche per il coraggio dell’idea. Che ha sfidato comunque una certa quota di credenti ortodossi, più abituati a una rigorosa cerimonia classica e verbale. Ma quell’applauso, che dura a lungo, sottolinea ache qualcosa che va al di là del contesto religioso. Che vale per tutti, anche per gli atei. Ovvero che rompere gli schemi, osare, molto spesso paga. Anche quando si rischiava la critica.