La dittatura delle password

Agli albori della diffusione di massa delle tecnologie abbiamo iniziato a fare conoscenza con paroline che sarebbero diventate compagne di vita irrinunciabili quanto invadenti. Le password. All'inizio due o tre. Quella dell'email. Quella per l'accesso al pc. E il pin del cellulare. Allora, ingenui e sprovveduti, optavamo per formule semplicissime. C'era chi affidava la segretezza dei dati a combinazioni standard come “1234”. Trovandosi con il telefonino “scassinato” in caso di smarrimento. Oggi è difficile stare sotto la trentina. Un proliferare di stringhe alfanumeriche sempre più complicate, anche se c'è chi punta sull'approccio naif, nascondendo dati sensibili dietro la data di nascita di moglie, compagna o fidanzata. Salvo dimenticarsela (solo gli uomini, alle donne non succede), come si dimentica il compleanno della dolce metà. E lì sono guai. La navigazione fra password è spesso perigliosa. Spesso si finisce per provare a leggere un'email urgente inserendo il codice per verificare l'arrivo dell'ultimo stipendio. Oppure di cercare il link per pagare la multa in scadenza nel sito di e-commerce che propone creme per il viso e attrezzi da barbecue. Ricordarle tutte, poi, è un'impresa. Ci sono app specifiche, si dirà. Per le quali, però, ci vuole la password. Io le avevo segnate tutte su un foglietto di carta. Non volevo assolutamente perderlo. Per questo l'ho messo in cassaforte. Ma mi sono dimenticato il codice per aprirla.

enrico.camanzi@ilgiorno.net