Roger Scruton, analisi di un conservatore

Per la rivista americana “New Yorker” è “il più influente filosofo al mondo”; per altri è “il rappresentante più controverso della scuola conservatrice britannica della Nuova Destra”. Ma Roger Scruton è per tutti un pensatore che s’interroga sui destini della modernità in maniera originale di GENNARO MALGIERI

Milano, 29 aprile 2016 - Per la rivista americana “New Yorker” è “il più influente filosofo al mondo”; per altri è “il rappresentante più controverso della scuola conservatrice britannica della Nuova Destra”. Ma Roger Scruton è per tutti un pensatore che s’interroga sui destini della modernità in maniera originale rispetto alle idee dominanti contrastanti con la sua visione dell’Occidente che vede ripiegato su se stesso, incapace di sviluppare un dinamismo che lo faccia essere protagonista a pieno titolo del nuovo Millennio. Filosofo e molte altre cose, il settantaduenne Scruton, continua a riscuotere apprezzamenti sull’onda del suo conservatorismo che è diventato riferimento culturale anche per chi lo avversa, riproponendolo alla luce della modernità, e dunque innestandolo tra le idee correnti sia per confutarle,quanto per “ibridarle” senza tuttavia venire meno agli insegnamenti di Edmund Burke, ma rendendo più percepibile un movimento che si riteneva appiattito esclusivamente sulle politiche thatcheriane e reaganiane. Il pensiero di Scruton oggi è parte integrante del dibattito politico-culturale britannico ed europeo.

Il suo ultimo libro apparso in Italia, edito da D’Ettoris, e curato con molta perizia da Oscar Sanguinetti, testimonia della capacità dell’intellettuale d’Oltremanica di rilanciare le tematiche conservatrici non come sterile sfida alla modernità, ma soprattutto nella prospettiva di costruire un progetto esistenziale e politico su cui rifondare l’Occidente del quale, in questo “Essere conservatore” mette alla berlina, rileva i “vizi” che lo stanno portando alla dissoluzione. Scacciando la tentazione di lanciare crociate fideistiche, ma affidandosi ad un appassionata diagnosi culturale, scrive: “Il conservatorismo che io professo afferma che noi, in quanto collettività, abbiamo ereditato delle cose buone e dobbiamo sforzarci di conservarle”. La tradizione, la concezione organica della società, la ricostruzione di una comunità fondata su valori non negoziabili. Alle classi dirigenti Scruton si rivolge, implicitamente, esortandole a favorire lo studio della cultura e dell’eredità europea a fronte del globalismo. E ribadisce che lo Stato-nazione è la garanzia primaria dell’ordine civile, politico e culturale verso il quale tendere. Così come non si può prescindere dal restaurare la concezione della bellezza a fronte di una tecnologia invasiva e totalitaria. L’indole conservatrice, sostiene, “è una proprietà acquisita delle società umane ovunque si trovino”. E distruggerla è un crimine cobntro se stessi.

ROGER SCRUTON, Essere conservatore, D’Ettoris editori