Pussy Riot, la prima volta delle ribelle russe a Milano

Proteste, flash mob, carcere: le rivoluzionarie al Legend Club

Pussy Riot

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Milano, 12 febbraio 2019 - Cuori ribelli. Sette anni dopo, quella preghiera punk davanti all’altare del Cattedrale del Cristo Salvatore rimane il momento di gloria e di dannazione delle Pussy Riot, il collettivo russo in concerto domani sera al Legend Club con la sua rabbia e le sue rivendicazioni ad alto volume. “Le Pussy Riot hanno ottenuto quello che volevano”, ammise Dimitrij Medvedev all’indomani dell’arresto del trio, riferendosi all’eco planetaria del loro gesto. Il primo ministro non poteva prevedere in che slavina si sarebbe trasformata quella detenzione per l’immagine sua, di Putin, definito senza troppo parafrasare “un dittatore”, e dell’intero governo. Masha è stata liberata nel dicembre 2013, con uno sconto di pena a seguito dell’amnistia concessa da Putin alle madri di minori (l’attivista ha un figlio nato nel 2007), secondo lei «una trovata pubblicitaria» in vista delle Olimpiadi invernali di Sochi, che qualche settimana dopo, neanche a dirlo, invitò a boicottare.

“È la nostra prima volta a Milano ma, anche se non abbiamo mai suonato prima da voi, come fai a non amare l’Italia”, anticipa all’altro capo del filo Marija “Masha” Alëchina, la più loquace delle pasionarie venute dal freddo. Una spina nel fianco dell’establishment moscovita che al Legend impronterà la sua esibizione su “Riot Days”, il volume sulle loro gesta uscito lo scorso anno. Un concerto ideologico, il loro; caratterizzato da un forte impatto elettronico “e dal desiderio di prendere posizione, così come e abbiamo fatto dal primo giorno”. Masha e Nadya, al secolo Nadežda Tolokonnikova, alias Nadya Tolokno, sono state arrestate, ed hanno scontato una pena.

“La nostra performance ha, naturalmente, forti contenuti femministi”, prosegue Marjia. “Questo perché è giusto che il mondo sappia come vengono trattate le donne, tra prigione e campi di lavoro, all’interno del sistema carcerario russo”. Il collettivo in perenne libertà provvisoria, ha compiuto una forzatura per mettere in strada questo tour. “Dopo la nostra ultima azione dimostrativa e relativo arresto, non potrei lasciare il Paese. Ma, a dirla tutta, non sarei potuta espatriare pure quando siamo volate in Scozia, ad Edimburgo, per partecipare al Fringe Festival. Comunque ci siamo riuscite allora e pure stavolta”. Le rivoluzionarie col cappuccio e il lucidalabbra giurano che la loro non è una storia russa. “Al mondo d’oggi, avrebbe potuto accadere ovunque. La gente non è più capace di combattere per la propria libertà; e anche una situazione stabile e democratica può facilmente ribaltarsi. È quello che sta succedendo ora in Europa”. Per loro la musica è sì importante, ma prima viene il messaggio. “La musica è un amplificatore potentissimo, e penso che vada usata per dare forza alle cose in cui crediamo, e su cui improntiamo la nostra vita e la nostra arte. Viviamo in un paese in cui puoi finire in carcere o ammazzato per le tue idee, ma la cosa non mi dissuade, anzi accresce il mio bisogno parlare e l’urgenza di salire su un palco per dire a tutti quel che penso”. Pussyrioters del mondo unitevi.