Quel viaggio slow a caccia di tesori con Philippe Daverio

In uscita il nuovo libro 'Grand tour d’Italia a piccoli passi', in cui prende per mano i lettori e li porta in luoghi insoliti

Philippe Daverio (NewPress)

Philippe Daverio (NewPress)

Milano, 17 novembre 2018 - Philippe Daverio, un francese nato a Mulhouse, in Alsazia, che “ha finalmente capito l’Italia” e l’ama a tal punto da vestire i panni di cicerone per decantare le bellezze del Belpaese. Grand tour d’Italia a piccoli passi è il titolo, intrigante, del suo ultimo libro (edito Rizzoli), in uscita in libreria il 20 e presentato in anteprima il 18 (Pinacoteca di Brera Sala della passione) con Natalia Aspesi.

Come nasce?

«Dalla voglia di insegnare agli italiani ad amare ciò che hanno ereditato e a preservarlo. Ma ho pensato anche a chi viene da fuori per scoprire la culla di grande parte di ciò che ha reso il mondo più bello».

Ci sono luoghi ed itinerari, da Saluzzo a Palermo e passando per Cagliari decisamente insoliti, meno noti ma molto interessanti. Un viaggio mentale prima che geografico....

«Li ho visitati tutti. Sono francese di nascita e appena ho avuto la patente ne ho approfittato. Ho girato a lungo l’Italia in modo “degenerato”, cioè senza genere, da

scriteriato. Il mio non è mai stato un “inclusive tour” e a Firenze, prima di mettere i piedi negli Uffizi, me n’ero andato a vedere la sfinge nel giardino del colonello Stibbert, quello che raccoglieva armature giapponesi. Ma poi sono andato a riverire la Primavera di Botticelli. E infine, essendo diventato amico di chi quel museo lo gestiva, Antonio Paolucci l’anticonformista, da lui imparai il concetto del “museo diffuso”».

Che cos’è?

«È la più potente risorsa culturale dell’Italia, si articola ovunque sono rimaste le tracce d’un passato ricchissimo di testimonianze. È il più forte cimento della nazione».

Se la prende con gli italiani che saranno santi, poeti e navigatori ma non viaggiatori...

«S’abbronzano volentieri nel Mar Rosso, e se rimangono a casa guardano con occhio languido la mesta Isola dei Famosi. Girano il mondo, si ritrovano nelle foreste misteriose della Cambogia, sotto le piramidi dei Maya, degli Egizi o del Louvre a Parigi, vanno alla scoperta della libertà frugale sui viali di Berlino o corrono affascinati come falene fra le Rolls parcheggiate a Mayfair. Si dimenticano di girare l’Italia. L’Italia era agli inizi del XX secolo la prima meta turistica del mondo; cent’anni dopo era al nono posto dei flussi turistici. Chissà cosa avrebbero pensato Dürer, Goethe, Ronsard e Stendhal, Mark Twain e la folle Victoria Ocampo, amica di Borges e di Puig, se avessero saputo che per referendum il popolo degli italiani avrebbe un giorno abolito il Ministero del Turismo».

E vanno tutti a Rimini...

«Senza sapere che oltre al mare esite l’Arco di Augusto, il più antico arco romano esistente. Prenda Venezia presa d’assalto da truppe cammellate di turisti che seguono in pieno sole un ombrellino alzato e percorrono in mezza giornata il giro dalla stazione a piazza San Marco. Mi mettono tristezza. Vedono senza guardarli i tetrarchi bizantini e i capitelli istoriati di Palazzo Ducale. Un giro in gondola e un tour nell’outlet ed è fatta. Si torna a casa. Eppure basterebbe spiegare che a dieci chilometri da piazza San Marco ci sono luoghi altrettanto interessanti da visitare».

Proposta?

«Lo slow tour, ancora tutto da inventare o meglio da riscoprire. Una volta gli eminenti personaggi che ho già citato si spostavano in modo lento, talvolta a piedi. Il viaggio un tempo si faceva con i piedi e con la testa».

Snob...

«Ma no, alternativo. Si rifugga dalla nobiltà d’una corsa rapida e obbligata in lunga coda per accedere ai sommi Musei Vaticani e si scelga una visita ai Domenicani di San Clemente a Roma. E a Milano invece di passeggiare sul tetto del Duomo meglio scoprire i segreti della Biblioteca Ambrosiana o visitare il Poldi Pezzoli o il Museo della Scala che ancora in pochi conoscono».