Ornella al Piccolo, la vita è un atto unico

La Vanoni dedica a Strehler una storia di incontri, amori e canzoni. Concerto e intervista su Sky Arte

Ornella Vanoni

Ornella Vanoni

Milano, 4 gennaio 2018 - L'Ornella. Mica nata ieri. Di sicuro nata lì. Ornella Vanoni è tornata sul palcoscenico del Piccolo Teatro Strehler per un doppio concerto dedicato a Giorgio, poi imperdibile speciale, con una lunga intervista, per Sky Arte (spero presto anche in cd e dvd). Prima la sera del 30 dicembre, poi su On Demand (registrare subito su Sky). Se dovessi scegliere solo una cosa di Ornella, prenderei questo intimo racconto teatrale in cui c’è il senso della sua vita e della sua carriera artistica. Costruito su un dialogo complice e commosso con Strehler, monologhi di una biografia in progress, “Sono nata qui” ci rivela definitivamente la cifra stilistica, esistenziale e culturale di Ornella. Nata in uno dei teatri più importanti e rivoluzionari del mondo, lei ne ha tempi perfetti e la sua interpretazione, come per i francesi, è tutta lì. Anche la tv, che era quella di Paolo Grassi e dei suoi primi eredi era in fondo una forma moderna e popolare di teatro varietà e cultura condivisa. Si diceva che non cantasse a tempo, in realtà ha sempre cantato liberamente nei suoi tempi (teatrali), con quella voce da contralto (il sax del jazz), l’io narrante e pensante.

Infatti nel quartetto che l’accompagna non c’è la batteria ma Roberto Cipelli (pianoforte), Bebo Ferra (chitarra), Loris Leo Lari (contrabbasso), Piero Salvatori (violoncello). Cipelli e Ferra con i tempi (teatrali) del jazz. All’inizio cantava in tedesco, anche in tv, poi le canzoni della mala inventate al Piccolo. Poi gli amici cantautori, i brasiliani ma anche implacabile seducente pop italiano. Ascolterete “Ma mi”, “Hanno ammazzato il Mario”, “Le mantellate”(“metà l’ho scritta io”), “Senza fine”, “Che cosa c’è”, “Vedrai vedrai” (“Tenco l’ha dedicata non una donna ma alla madre”). “L’appuntamento” e “Dettagli”, “Caruso”, “Io so che ti amerò” (Eu sei que vou te amar) di Vinicius e Moraes e Antonio Jobim, meravigliosamente tradotta da Sergio Bardotti. “Non insegnate ai bambini” di Giorgio Gaber. Commovente. Lei ricorda lo scandaloso amore con Giorgio, “che si accorse della mia voce perché accennavo le arie d’opera quando andavo a seguire le sue regie”. Facciamo fare qualcosa a questa tusa, ci pensano Strehler con Dario Fo, Gino Negri, Fausto Amodei e Fiorenzo Carpi, reinventando dalle osterie storie milanesi di furfanti, spari, poliziotti, malfattori, carcerati, balordi e minatori. L’amore è il motore, suggerisce, “io sono una persona malinconica - confessa - capace di grande felicità. Per Paoli ho sofferto e lui lo sa, siamo rimasti amici”. Fra le “cantanti dolcemente tristi” sceglie Amy Whinehouse. Una jazzistica “Losing Game”. La aspettiamo con Pacifico e Bungaro a Sanremo.