Mario Martone: "Milano nel cuore, girerei un film tra centro e periferia"

Il regista fra la sua "Nostalgia" e la preparazione del Rigoletto

Un’immagine del set di “Nostalgia“ di Mario Martone

Un’immagine del set di “Nostalgia“ di Mario Martone

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"La Scala ormai è “casa“. E anche la Iulm: ci torno sempre molto volentieri, è un’università viva ed è sempre interessante incontrarsi con le nuove generazioni". Il regista Mario Martone risponde al telefono, camminando in una Milano che sente un po’ sua. Si lascia alle spalle il Piermarini, dove sta preparando la regia del Rigoletto, e si avvia lungo corso Magenta. Oggi, alle 17.30 sarà insieme a Pierfrancesco Favino nell’auditorium di via Carlo Bo. "Favino è il protagonista sin dall’inizio, ancor prima della sceneggiatura – confessa Martone –, anzi, sapere che ci sarebbe stato lui in quel ruolo ci ha aiutato a scriverla".

Porterete “Nostalgia“ e anche Napoli a Milano.

"Il film mette le mani nelle viscere della città di Napoli. I temi sono universali, appartengono ad ogni tempo e ad ogni luogo. Sarà interessante parlare con gli studenti e col pubblico di come è stato adattato il romanzo, del lavoro fatto in sceneggiatura e con gli attori, che hanno studiato il napoletano come fosse una lingua straniera, perché volevo allontanarmi da modelli inevitabili, riportare il tutto a una dimensione più epica".

Da dove siete partiti?

"Ippolita Di Majo, che ha lavorato con me alla sceneggiatura, definisce ’Nostalgia’ un romanzo Cornucopia. Ed è così: è pieno di suggestioni. Il lavoro è stato duplice: da un lato nell’asciugare questa abbondanza, per renderlo un racconto cinematografico, essenziale. Dall’altro lato nel non perdere la ricchezza dei temi, le tante cose che nelle pagine di un romanzo sono evocate e che al cinema non possiamo descrivere ma evocare a nostra volta con la macchina da presa. Un lavoro di assonanza: abbiamo ripercorso gli stessi passi che ha fatto Ermanno Rea, nel Rione Sanità, camminando".

E camminiamo adesso con lei a Milano.

"È una città che mi piace molto. La cosa più bella è che è così proiettata nella contemporaneità, è la città più europea che c’è in Italia, ma sento che nonostante questo riesce a trattenere la sua natura storica. Resta sempre quella Milano del dopoguerra di Strehler, c’è qualcosa nell’atmosfera che si continua a respirare. Anche i milanesi... si sente che hanno una storia alle spalle e questo dona un grande fascino".

Ci girerebbe un film? E se sì, dove?

"Dove mi muovo io, tra centro e periferia. Sarebbe una Milano vista a volo di uccello: nell’hinterland delle città si annida il loro futuro, è importante non alzare i muri e percorrere i confini, perché la città per vivere deve espandersi. E questo cambia molto le cose, i punti di vista".

Torna alla Scala: è casa?

"È casa sì: sono alla settima opera. Oltre al rapporto di lunga data mi ci trovo benissimo, è un lavoro che dà grande gioia. Come mi capita di dire sempre, una regia alla Scala è come guidare una Ferrari. La devi sapere guidare, perché è pericolosa. Ma che soddisfazioni".

Cosa dirà oggi ai ragazzi?

"Che il mondo del cinema è davanti a noi, in piena evoluzione. Che devono impugnare questa possibilità, che c’è bisogno ancora di film concepiti per essere film, possibilmente visti in sala. Che possono immaginare e creare il cinema del futuro".