Ghemon: "Sanremo è stato utile, mi sono chiarito le idee sul futuro"

Il cantautore, all’anagrafe Giovanni Luca Picariello, si gode il "momento perfetto" con il tutto esaurito al Magnolia

Ghemon

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Ultima fermata: Linate. Ghemon si congeda dal suo pubblico venerdì al Magnolia con la data conclusiva del tour messo in strada sulla scia della partecipazione a Sanremo con "Momento perfetto" e la pubblicazione dell’album "E vissero tutti feriti e contenti". Per il mancato avvocato avellinese trapiantato a Milano, all’anagrafe Giovanni Luca Picariello, la contentezza sta nell’aver ritrovato finalmente un pubblico, mentre la ferita va forse cercata tra i languori di mesi distratti che non hanno permesso a certe operazioni di qualità come la sua di raccogliere fino in fondo l’interesse meritato.

Milano è l’ultima tappa di quel cammino iniziato a Roma due mesi fa. Soddisfatto?

"Sì, perché questi concerti hanno permesso al disco di farsi scoprire e quindi di raggiungere quel risultato che, a causa del momento di caos pandemico, gli era in parte sfuggito al momento dell’uscita. Ogni sera la risposta al nuovo repertorio è molto bella". Nel mettere in piedi questo giro di concerti, qual è stato il suo primo pensiero?

"Quello di rappresentare l’album al meglio, con una band vera che sapesse a sottolinearne efficacemente suoni, umori e colori. Ecco perché, rinunciando a parte dei guadagni, ho voluto condividere l’esperienza del palco con altri quattro musicisti e due coriste. Archiviato il tour, però, voglio prendermi un po’ di riposo perché ho pubblicato due dischi nel giro di dieci mesi e la musica non può diventare routine"

Sanremo è servito? "Sì, innanzitutto a me come stimolo per cercare cose nuove ed evitare ripetizioni. È servito pure a chiarirmi le idee su cosa mi va di fare e cosa no, definendo al tempo stesso un pubblico che si ritrova nella mia musica".

Effettivamente, il Magnolia è sold-out.

"Ne sono felice perché Milano è casa, il posto in cui ho scelto di vivere. E poi è la città che, quando ancora non ci abitavo, mi ha fatto crescere, diventando subito il mio porto sicuro, la mia roccaforte, quella in cui mi sono realizzato e da cui mi sento capito".

Potendo mettere in campo un progetto a due, chi le piacerebbe coinvolgere?

"Ci sono molti giovani emergenti che si stanno facendo strada nel campo del rhythm’n’blues e della musica afroamericana in genere; quindi, se dovessi cercare un confronto, guarderei a loro. Non ho in testa un nome particolare, perché sono davvero tanti e tutti molto bravi a cominciare da Serena Brancale".

Ha nuove canzoni da parte?

"Sì, certo. Nell’era digitale non si possono fare album di tre ore e in ‘E vissero feriti e contenti’ ho messo solo brani che stavano bene assieme lasciandone fuori altri non meno validi, ma solo non altrettanto funzionali all’idea di disco che avevo in testa".