Gazebo si racconta: "I miei favolosi anni ’80"

L’interprete di “I like Chopin”, la Milano di allora e i successi

Gazebo, pseudonimo  di Paul Mazzolini,  è nato a Beirut

Gazebo, pseudonimo di Paul Mazzolini, è nato a Beirut

Milano, 22 aprile 2018 - Erano gli anni del Nephenta, del Santa Tecla, del Vogue Club, degli Yuppies e dei Paninari, dei riti della Milano da bere e di canzoni riempi pista come “Survivor” di Mike Francis, “People from Ibiza” di Sandy Marton o “Self Control” di Raf. Una stagione volata vita tra i drink in Galleria e i lampeggianti della Polizia a cui il redivivo Gazebo rivolge un pensiero malato di nostalgia tra i solchi di “Italo by numbers”, il nuovo album concepito attorno alla sua “I like Chopin” e alle altre regine da Festivalbar. Un ritorno. Anche se a ben guardare lui, Paul Mazzolini come si chiama all’anagrafe, nato a Beirut nel ’60 ma cresciuto a Roma, 12 milioni di copie vendute, non se n’è mai andato, continuando a produrre e a vendere canzoni in Italia e all’estero. La cosiddetta “Italo disco”, il nostro miglior prodotto musicale da esportazione di quegli anni. «La mia Milano era quella della Baby Records, un’etichetta indipendente forte come le multinazionali a giudicare dalle classifiche dell’epoca dove, oltre a me, svettavano i fratelli La Bionda, Rondò Veneziano, i Ricchi e Poveri, Pupo, Al Bano e Romina», spiega lui.

Successi legati ad un’unica figura, Freddy Naggiar.

«Un genio, nel suo piccolo. Gli devo tutto. Quando si accorse di me, nell’82, me ne andavo in giro col provino di “Masterpiece” ormai da un anno. Nessuno credeva in quella mia canzone, scoraggiati forse da un’idea di new wave prodotta in Italia».

Come vi incontraste?

«“Masterpiece” fu prodotto da Paolo Micioni, dj romano, e iniziò a funzionare nei circuiti della dance. Naggiar lo senti per caso alla radio in autostrada, si fermò al primo autogrill e mi fece chiamare dalla segretaria. Il giorno dopo era già nel suo quartier generale, in via Timavo, a firmare il mio primo contratto».

Un colpaccio.

«Fu molto divertente perché, di lì ad un anno uscì “I like Chopin” che arrivò prima in mezza Europa oltre che in Canada, Giappone, Hong Kong, Corea, Singapore, Turchia, Messico e Brasile. Io giravo il mondo e mi trovavo in competizione con l’Irene Cara di “What a feeling”, con i Culture Clun di “Karma Cameleon” o con il Lione Richie di “All night long”, non ci potevo credere».

Cosa l’ha spinta a riprendere in mano quegli anni?

«Nel 2008 ho inciso un disco progressive, “The syndrone”, mentre nel 2015 uno elettronico, “Reset”, ma la voglia di rivivere i miei anni Ottanta continuava a covare da qualche parte. Così ho rispolverato i miei vecchi strumenti, per provare a rifare certi pezzi fortunatissimi di allora. C’è pure un inedito, “La divina”, mio primo brano in italiano».

Cosa rimane di allora?

«Gli anni Ottanta sono stati, probabilmente l’ultimo decennio in cui la gente sentiva addosso un po’ di leggerezza, di liberazione, dovuta probabilmente al desiderio di reagire alla cupezza di quello precedente. Uno spartiacque tra gli anni di piombo e le difficoltà politico-economiche dei Novanta».