Enrico Ruggeri e l'ultimo cd: "Penso che a Gaber questo pezzo sarebbe tanto piaciuto..."

Enrico Ruggeri con "La rivoluzione", il suo 38° album, preannunciato in radio dal singolo omonimo

Enrico Ruggeri, un'icona tra i cantautori italiani

Enrico Ruggeri, un'icona tra i cantautori italiani

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Milano - Vedrete… Ascolterete… Annunciando su Tik Tok l’uscita, in primavera, de “La rivoluzione”, Enrico Ruggeri s’è divertito a spiazzare un po’ il suo pubblico. Si tratta, infatti, del suo 38° album, preannunciato in radio dal singolo omonimo, pezzo generazionale scritto assieme al fido Massimo Bigi, tour manager e cantautore. Uno sguardo ai sogni e alle aspirazioni dello studente del Liceo Berchet lanciato dal sessantaquattrenne di oggi con la coscienza, condivisa col resto della sua generazione, di aver giocato un bel girone, ma perso la finale. "Quasi tutti gli esseri umani a 15-16 anni immaginano una vita diversa da quella che poi, per molti aspetti, si trovano a vivere" spiega Ruggeri, che nell’agenda 2022 ha già in programma un pugno di concerti tra cui quelli del 2 aprile al Teatro San Domenico di Crema e il 9 aprile al Nazionale di Milano. Ruggeri è reduce da un anno che l’ha visto incassare il Premio Tenco alla carriera e accendere un riflettore sulla vicenda di Chico Forti col singolo "L’America". Dice di godere d’un punto d’osservazione privilegiato sulle cose. Perché? "Nessuno s’è trovato a vivere tanti sconvolgimenti personali e sociali come chi è nato tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Settanta. La nostra è stata la generazione dell’eroina, della lotta armata, ma anche quella che, una volta ereditate le sorti del paese, s’è trovata spesso ad accumulare le cose. Gente che ieri simpatizzava con l’eversione armata e oggi è in Parlamento". Diceva Gaber in «Qualcuno era comunista» che «la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente». "Effettivamente, da un lato volevi rivoltare il mondo, dall’altro cercavi un futuro bello e appagante non considerando che le due cose a volte vanno di pari passo, ma altre si scontrano. Penso, comunque, che a Gaber questo mio pezzo sarebbe piaciuto". Nel finale dice «siamo una fermata scritta sopra a un foglio da conservare ". Ecco, cosa vorrebbe che rimanesse di lei? "Le canzoni. Non sono capace di sfornare successi, e quando l’ho fatto è accaduto a mia insaputa, però nel momento di scrivere un pezzo mi chiedo sempre se qualcuno potrà cantarlo fra trent’anni. Un principio sacro. Ecco, perché ne butto via tante". Quante ce ne sono ne «La rivoluzione»? "Undici. Le vincitrici di questo mio ‘contest’ privato". Dei 37 album incisi finora, ce n’è uno che oggi non rifarebbe? "No. Perché una foto del Ruggeri 1986, a parte l’aspetto fisico, mi riporta alla mente poco o niente, mentre se ascolto un pezzo di allora mi si spalanca davanti un mondo. Certo, alcuni hanno resistito meglio di altri all’usura del tempo, ma tutti mi rappresentano ancora". E dal punto di vista sonoro? "Credo di aver fatto tante cose belle nel momento in cui le ho fatte. A cominciare dai cori alla Queen dei dischi degli anni Novanta o la fisarmonica e il contrabbasso delle canzoni degli anni Duemila". Su TikTok dispensa pillole di storia del rock partendo dalle sue esperienze personali. "Un po’ come facevo nelle mie lezioni al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. È sempre interessante appassionare i millenial ai Deep Purple o ai Gentle Giant. D’altronde, anche se di formazione classica, un flautista non può non sapere chi è Ian Anderson. Partito come regno di tette e barzellette, Tik Tok è diventato teatro di cose frivole, ma anche di altre interessanti".