"La rivolta del Piccolo è un inizio: smuoviamo le acque della cultura"

Simone Faloppa è fra i leader del Coordinamento Spettacolo in presidio nel chiostro di via Rovello Ora si pensa al “Parlamento Culturale permanente”, in attesa di ridiscutere il contratto collettivo di lavoro

Il drammaturgo Simone Faloppa

Il drammaturgo Simone Faloppa

Milano, 11 aprile 2021 -  Studi filosofici all’università. Poi il teatro: come attore, drammaturgo, educatore. Da tempo Simone Faloppa cerca pure di combattere la dispersione scolastica, facendo scoprire ai ragazzi il fascino dei libri, del tempo lento. Ma in questi giorni è il lavoro al Piccolo Teatro Aperto che lo vede protagonista. Fra i leader del Coordinamento Spettacolo Lombardia che da sabato 27 marzo è in presidio al Chiostro Occupato. Simone, un bilancio di queste prime due settimane? "Abbiamo cominciato a muovere le cose, a lavorare sulla riforma del welfare dello spettacolo, che già a luglio indicavamo come necessaria per poter ripartire. Quello che sta succedendo è il prodotto di una serie di azzardi, su cui stiamo costruendo una credibilità. Mentre osserviamo continui segnali da parte della città, gente che viene a dare un’occhiata, che ascolta attraverso le casse in via Rovello". Perché nessuna iniziativa artistica? "Per sottolineare il ruolo sociale del teatro, uno spazio nel cuore della città dove si può parlare di sanità, scuola, cultura". Com’è il rapporto con il Piccolo? "Si costruisce giorno per giorno. Il nostro è un tentativo di presidio ma sappiamo che ci sarà una conclusione. A quel punto ci sposteremo in un altro palcoscenico milanese. Il Parlamento Culturale Permanente avrà uno sviluppo nomade. Cerchiamo così di far conoscere le proposte dei lavoratori, per quanto ci penda sulla testa una legge delega che temo avrà il suo corso. Siamo però stati chiamati per un’audizione in Commissione Senato, dobbiamo ancora conoscere la data". Quali le fragilità e i punti di forza dell’esperienza? "C’è sempre il pericolo di venire strumentalizzati o di passare come gli ultimi che cercano di grattare via qualcosa. Un punto di forza è stato quello di trasformare in una pratica le tante ore di lavoro. Da diverse città provengono ora segnali di voler sperimentare tentativi analoghi. Noi rimaniamo uniti. Nel Coordinamento ci sono tre anime: gli studenti, i tecnici, gli artisti. Abbiamo età, orizzonti e bisogni molto diversi ma cerchiamo di condividere le scelte. In questo anno siamo cresciuti, come dimostrano i due tavoli aperti con il Comune, sulla responsabilità occupazionale e il lavoro". Quali i punti imprescindibili nella riforma? "Abbiamo forme contrattuali che riescono ad onorare soltanto il 30% dei teatri, vanno assolutamente discusse nel Contratto Collettivo Nazionale. Lo streaming è poi diventato un tema, la virtualità è un linguaggio, parte della dieta lavorativa. Potenziare il mezzo potrebbe anche permettere di sprovincializzare". Come è stato quest’ultimo anno? "L’ho vissuto come un momento creativo per ripensare il mio lavoro". E cosa ne è uscito? "Sto scrivendo “Billi Red” insieme a Domenico Ferrari e Rita Pelusio, testo che darà presto anche il nome al nostro festival nei quartieri".