Blue Note, il bassista Darryl Jones protagonista con Mike Stern

"Miles Davis mi disse: ce l’hai fatta"

Mike SternMiles DavisMadonnaSting

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Milano, 11 novembre 2018 - Un blues in si bemolle gli valse il “sì” di Miles Davis. E trentacinque anni dopo quell’audizione che gli ha regalato un passaporto per l’empireo dei bassisti, Darryl Jones è ancora legato alla musica del Delta. Il sodalizio col chitarrista Mike Stern che il 27 e 28 novembre porta il musicista di Chicago sul palco del Blue Note, completando un calendario eccezionale per il locale di via Borsieri che questo mese vede la presenza a Milano di ben cinque “top players” del basso. Dopo aver ospitato Victor Wooten, Dave Holland, e Ron Carter, infatti, il Blue Note si prepara all’arrivo di Stanley Clarke, il 21 e 22 novembre, oltre che, naturalmente, della coppia Stern-Jones. «Mike l’ho conosciuto nell’83, quando suonava la chitarra nella band di Miles assieme a John Scofield, ma, pochi mesi dopo ci trovammo a lavorare assieme pure negli Steps Ahead», spiega Jones, 56 anni, che nel suo sbalorditivo curriculum annovera pure gli Headhunters di Herbie Hancock, Peter Gabriel, Madonna, Cher, Eric Clapton, Joan Armatrading e lo Sting di “The dream of the blue turtles”. «Anni fa abbiamo ripreso a collaborare e così ora mi divido tra i Rolling Stones, la Miles Electric Band, la sua Mike Stern Bad e il mio Darryl Jones Project».

Si ricorda quel fatidico incontro con Davis?

«Ricordo ogni momento di quella giornata. Fu il nipote di Miles Vincent Wilburn jr, che al tempo era pure suo batterista, a procurarmi l’audizione. Miles mi chiese di suonare sopra la registrazione di un suo concerto. “Non devi copiare quel che sta facendo il bassista” disse, “suona quel che ti sentiresti di suonare se fossi al suo posto”. E poi mi chiese di eseguire quel blues, fermandomi due volte per chiedermi di andare “più lento”. Alla fine lui e Vincent uscirono dalla stanza e poco dopo Wilburn rientrò dicendo: “ce l’hai fatta”. Ma io chiesi che fosse Miles a ripetermelo di persona. Così lui e, dandomi un colpetto al braccio, mi disse “ce l’hai fatta”».

Quali sono stati i suoi eroi del basso?

«Musicisti rivoluzionari come Ray Brown, Ron Carter, Jim Blanton, James Jamerson, Larry Graham, Stanley Clarke, Jaco Pastorius, Alphonso Johnson, Angus Thomas, Anthony Jackson».

Da dove arriva il soprannome “The munch”?

«Da bambino ero abbastanza esile e così a scuola iniziarono a chiamarmi con quel nomignolo che significa appunto piccoletto».

Escluse quelle con Miles e gli Stones quali sono state le sue esperienze umane e artistiche più importanti della sua vita?

«Tutte direi. Dal talent show scolastico in cui feci il mio primo assolo di basso a Mike Stern… tutte mi hanno lasciato qualcosa».

C’è un musicista con cui avrebbe voluto suonare, ma non è stato possibile?

«Più di uno, a cominciare da Jimi Hendrix o Thelonious Monk».

Ma cosa vogliono Jagger e Richards dal suo basso?

«Vogliono che metta il meglio delle mie capacità nella loro musica».

Lei è subentrato a Bill Wyman nel ’93. Quando v’incontrate di che cosa parlate?

«Ci siamo trovati solo in poche occasioni e, da bassisti, abbiamo parlato di basso e delle nostre passioni. A cominciare dal blues, il grande blues». Il resto è solo rock’n’roll, ma va bene lo stesso.