Dario Faini torna al Festival di Sanremo: "Io, Dardust sperimento le note libere"

Autore con Mahmood ma intanto si concede un album sperimentale

Dario Faini Durdust

Dario Faini Durdust

Milano, 14 gennaio 2020 -  Attenti a quei due . Dopo aver fatto man bassa lo scorso anno di consensi e di streaming con “Soldi”, la coppia Mahmood-Dario Faini torna a Sanremo con “Andromeda” di Elodie. Faini al Festival firma pure “Eden” di Rancore e, per non farsi mancare proprio nulla, “Tsunami” dei torinesi Eugenio in Via di Gioia, in gara tra le Nuove Proposte. Il primo a tornare sul mercato del disco non è tanto il dominatore delle classifiche, l’autore-produttore dal tocco aureo, quanto il suo alter ego Dardust, “marchio” con cui venerdì prossimo il compositore marchigiano dà alle stampe in tutto il mondo “S.A.D. Storm And Drugs”, album strumentale in cui denuda un’anima diversa da quella di hit-maker. Un primo assaggio del disco Faini l’ha dato al pubblico milanese lo scorso settembre, con un concerto al Blue Note per solo piano in cui ha riportato le composizioni alla loro forma primigenia. “Ho voluto proporlo così come l’ho composto”, racconta Dario-Dardust, 43 anni, alludendo all’assenza delle sonorità elettroniche che invece caratterizzano il disco. “Con tutte le collaborazioni incamerate in questi anni avrei potuto pubblicare un album di featuring, cosa che non escludo possa avvenire in futuro, ma in ‘S.A.D.’ volevo essere Dardust quello che sperimenta e che, magari, puoi trovare lì dove non te l’aspetti”.

Per presentare queste nuove composizioni al locale di via Borsieri ha puntato su un immaginario spaziale. "La scelta è nata dal desiderio di proiettare nel futuro qualcosa che viene dal passato, da una tradizione fatto di legni, feltrini, martelletti, corde. Mi sono immaginato questo pianoforte-navicella in viaggio nel tempo per innestare in un presente fatto di bit, di 4/4, di pattern, di ripetitività, schemi e idee compositive del minimalismo d’inizio Novecento".

La sfida più importante? "Rimanere fuori dalle parole. In certi contesti i testi possono diventare una gabbia per la melodia. Il testo dà una mappa, una sceneggiatura, in cui tutti possono identificarsi perdendo però un po’ del proprio immaginario. Quando vesto i panni di Durdust, invece, la mia musica se ne vola via completamente libera".

Dati Siae alla mano, qual è l’hit parade dei suoi brani più popolari? "Oltre a ‘Soldi’, direi ‘Riccione’, ‘New York’ e ‘Maradona y Pelè’ dei The Giornalisti, ‘Nuova era’ di Jovanotti, ‘Se piovesse il tuo nome’ di Elisa, ‘Magnifico’ di Fedez, ‘Luca lo stesso’ di Carboni…".

Un pezzo meno compreso degli altri? "Probabilmente ‘Ti porto a cena con me’ di Giusy Ferreri. Ma anche ‘Il cielo è vuoto’ portata a Sanremo da Cristiano De André. Due canzoni che, secondo me, avrebbero meritato molto di più".

Chi vende dischi acquista potere nelle cose della musica. Come va usato? "Guardando negli occhi il futuro cercando d’inventarsi sempre qualcosa di nuovo. Penso che l’artista non abbia solo la possibilità, ma anche il dovere, di osare e di cambiare le cose. Assumendosi anche il rischio di fare un bel tonfo".