Poesie e Coronavirus, le 'Cronache Quotidiane' da Bergamo a Cremona

Il giornalista pugliese Giuseppe Di Matteo torna in libreria con una nuova raccolta di frammenti poetici che propone di riflettere sul periodo della pandemia

Giuseppe Di Matteo

Giuseppe Di Matteo

Milano, 6 giugno 2020 - “Era l’Italia/in cui non si usciva più/Ogni tanto incontravo/un uomo in fuga/con la spesa/della sua prigione”. Era l'Italia del lockdown, l'Italia ferita dalla pandemia del Coronavirus, l'Italia costretta in casa con il solo permesso di uscire per raggiungere il supermercato. Era l'Italia che abbiamo visto e vissuto tutti tra marzo e aprile scorsi. E che il giornalista pugliese Giuseppe Di Matteo, classe '83', racconta in una raccolta di frammenti poetici dal titolo 'Cronache quotidiane' (Les Flâneurs Edizioni).

“È la fotografia di quello che è accaduto negli ultimi tempi. Mi svegliavo la mattina e mi imbattevo in notizie o in situazioni che inevitabilmente mi facevano riflettere”, racconta Di Matteo. Riflessioni che si trasformavano in parole scritte nero su bianco fino a diventare una sorta di diario poetico, nel quale non è difficile riconoscersi, perché ci siamo tutti noi in questi limpidi e taglienti versi. “È la nuova normalità/trincee d’ospedale/ e case nemiche”; “Strade vuote/di sesso e di bisbigli./ Sopravvive al silenzio/ il volume del televisore”; “Cammino/tra le strade spoglie/di un tempo umano”.

'Cronache quotidiane'
'Cronache quotidiane'

Una polaroid dietro l'altra. Come scrive Annibale Gagliani nella prefazione, “i frammenti di senso sono pervasi d'attualità, agitati, come un rum in un bicchiere scheggiato, da istantanee di viaggio”. Di Matteo non smette dunque di essere cronista nelle sue vesti di poeta. “Si immerge nell'attualità e ci offre il suo sguardo, attento, severo e dolce sulle vicende di ogni giorno - spiega Darwin Pastorin nella postfazione - Affronta le trappole, i nascondigli del virus, denunciando la nostra forza e la nostra debolezza”. Ci si imbatte così nell'infermiera di Cremona “stremata dal sonno dei giusti” o "in trincea a Bergamo". Ci si ritrova sui balconi a cantare e a ripetere che “andrà tutto bene”, consapevoli che questa emergenza ci ha costretti a cambiare abitudini e a restare a casa tra paura, tristezza e malinconia.

“In tanti, com’era prevedibile, hanno cominciato a rimpiangere fin da subito la loro vita (e il mondo) di prima. Ma si stava davvero meglio?”, si domanda Di Matteo. E ricorda che l’Italia dell’èra avanti Covid 19 è ostaggio di un virus non meno pericoloso, quello del razzismo (“Tra un punto cardinale e l’altro/ho liberato la mia faccia/ dalla sua divisa” si ispira, per esempio, a un paio di episodi di cronaca recente, uno dei quali ha avuto per oggetto la modella italiana Maty Fall Diba) e di un precariato che impedisce a un’intera generazione di vivere dignitosamente (“Ho comprato il giornale stamattina/e ho sposato tra le righe/il lavoro mercificato/di mille disperati/di cui non parla /nessuno”). Ma anche di rapporti poco onesti tra le persone (“Si stava meglio prima/quando ci si poteva abbracciare/come fratelli/con un pugnale dietro la schiena”).

Emerge poi un altro inquietante interrogativo: ne usciremo migliori? ”Durante la prima fase eravamo pieni di buoni propositi – fa notare il giornalista – ma ora temo che sia tornato tutto come sempre. Le persone non erano meglio prima e non lo sono neppure diventate dopo, ma lo sono state solo durante. Quindi, quello che deve farci preoccupare non è solo il virus”. “Il virus – prosegue - possiamo combatterlo e sconfiggerlo. Ma le persone? E noi siamo sempre gli stessi” (“Domani/ faremo di nuovo la guerra/col conforto di strumenti civili/ che fanno più male dei fucili).

Tra uno spigolo e l'altro della vita, Di Matteo guarda anche alla fase due e scrive di “brindare con lacrime di gioia a ciò che si era perduto o forse non avevate mai capito di possedere”. Un consiglio che va benissimo anche per la fase tre, quattro o cinque. E ci ricorda che “l'unico vaccino è l'amore”. “Una frase quasi scontata – spiega – ma siamo in un'epoca in cui anche le cose più scontate andrebbero rivalutate. Perché l'amore non è solo un prodotto consumistico o un mero accessorio. L'amore è l'unica cura”. Omnia vincit amor.