Il regista e attore Fabrizio Falco: "Ecco le anime del mio Closer al Filodrammatici"

Lo spettacolo inscena al Filodrammatici con il Premio Ubu 2015: "Ancora risuonano sul palco gli insegnamenti del maestro Luca Ronconi "

Una sequenza dello spettacolo Closer al Filodrammatici

Una sequenza dello spettacolo Closer al Filodrammatici

Milano - Due coppie. Che s’incrociano a vari livelli di desiderio e disperazione. Sullo sfondo della ricca Londra contemporanea, gonfia d’irrequietezza, a due passi dal millennio. È già un cult “Closer“ di Patrick Marber, debuttato nel 1997 e poi al cinema grazie al film stellare di Mike Nichols. Da stasera però lo si ritrova a teatro. Al Filodrammatici. In prima milanese per la regia di Fabrizio Falco. Con l’attore messinese (Premio Ubu 2015) anche in scena insieme a Paola Francesca Frasca, Eletta Del Castillo e Davide Cirri. Un girotondo di finzioni. Per anime perse. Tutti ubriachi di sesso e di noia e di volontà di sopraffazione.

Falco, perché “Closer“?

"È una scelta che mi permette di indagare nuovamente le relazioni, un tema che sento molto vicino negli ultimi anni. Lo stesso “Misantropo“ che ho affrontato in precedenza andava in questa direzione e mi sembra di vedere un filo rosso fra i due testi, per quanto distanti per epoca e per drammaturgia. “Closer“ si apre poi ad altro, in un orizzonte che direi riguarda in generale l’essere umano: dall’identità all’esigenza di indossare quotidianamente delle maschere, fino al concetto di verità".

È un testo dove si respira una disperazione di fondo, molto Anni Novanta.

"Sì, i protagonisti sono tutti sconfitti. Ma se si vuole vedere un minimo di positività, credo che si possa ritrovare nel personaggio di Alice, la cui verità possiede qualcosa di più puro. Nonostante Marber nel finale ci faccia capire che anche il suo personaggio si basa sull’inganno. In lei però si percepisce un’energia diversa, che cerco di lasciar emergere".

Quanto ha pesato il film?

"Ho cercato di allontanarmene in tutti i modi. Anche perché il lavoro di Nichols rimane molto cupo, mentre il testo è scritto come una commedia, almeno nei termini in cui questa si avvicina alla vita, affrontando i lati comici e tragici dell’esistenza. Ho quindi tolto qualsiasi orpello per concentrami sul lavoro con gli attori, sui corpi che si cercano, si baciano, si avvicinano e si allontanano, per poi tornare a cercarsi".

Come descriverebbe il suo teatro?

"Uno spettatore l’ha definito naturalismo astratto. In effetti io cerco un realismo assoluto, quasi ossessivo nel togliere qualsiasi legame con la rappresentazione, pur all’interno di una scena svuotata. Credo infatti che il teatro abbia bisogno di avvicinarsi ai ragazzi, che troppo spesso lo percepiscono "finto". Uno spunto da non sottovalutare".

Nel 2015 Luca Ronconi la volle per “Lehman Trilogy“.

"Lui mi ha trasmesso il rigore e lo studio maniacale del testo, mentre col tempo mi sono allontanato dal punto di vista formale. Ma i suoi insegnamenti continuano a risuonarmi. E insieme a Ronconi devo ringraziare Carlo Cecchi, Valerio Binasco o Silvio Peroni, più vicino a me anagraficamente".

Nei prossimi mesi?

"In estate sarò impegnato su un set cinematografico, poi spero di riprendere “Closer“. Sta andando bene, ci hanno detto che abbiamo fatto dimenticare il film. Forse il miglior complimento che potessero farci".