Celso Valli: "Milano mi ha regalato un sogno"

L’arrangiatore e direttore d’orchestra parla di composizione, di chi lo ha ispirato e delle sue collaborazioni

Celso Valli

Celso Valli

Milano, 24 novemnbre 2022 - "Milano m’ha regalato questa mia professione" assicura Celso Valli, il re mida della consolle parla così del capoluogo lombardo. "Non sarei diventato arrangiatore e direttore d’orchestra se da ragazzo, all’inizio degli anni Settanta, non avessi preso la valigia fossi venuto qua ad imparare come si fa. A Bologna ero diventato per tutti “il milanese“. Nella mia città, infatti, doveva ancora crescere quell’onda che l’avrebbe fatta diventare un crocevia della musica e per farsi le ossa in sala d’incisione bisognava prendere il treno".

Dopo cinquant’anni di arrangiamenti e produzioni, ha appena pubblicato “Sette canzoni al piano”. Perché un disco tutto suo? "Perché per una volta ho sentito la necessità di raccontarmi in prima persona e non attraverso il lavoro degli artisti con cui lavoro. Come indica il titolo, si tratta di sette brani strumentali che conservano, però, la forma canzone. E che ho composto in buona parte durante la pandemia".

Ispirazioni? "Amo moltissimo la musica impressionista d’inizio Novecento, quella debussiana esatonale, ma anche Ravel, Satie e tutti gli altri. Pure Miles Davis diceva di amare innanzitutto quel periodo lì, che ha formato compositori straordinari. Basta pensare a Cole Porter o George Gershwin".

Questo è un po’ il suo “Gymnopédie”? "Sì. Non posso certo dire di non essere stato influenzato da quell’opera di Eric Satie. Fu proprio il compositore francese a creare negli ultimi anni, fra mille polemiche, quella che chiamò “Musique d’ameublement“, musica d’arredamento. Con un secolo d’anticipo Satie aveva intuito le potenzialità dell’ambient, dell’elevator music, e di tutte le altre venute poi".

Dove s’immagina di sentir suonare questo disco? "Mi piacerebbe ascoltarlo nella stanza vuota di un castello, con la risposta naturale dell’eco. Questo perché è sostanzialmente un album solitario, anche se poi ho messo l’orchestra perché i curatori del progetto Maria Marinoni e Guido Dall’Oglio mi hanno poi suggerito di aggiungere pure quel tipo di suono, particolarmente efficace per l’ascolto spaziale con Dolby Atmos".

Può riassumere il suo cammino in tre-quattro lavori? "Non vorrei fare un torto a qualcuno, ma il primo che mi viene in mente è “Oltre“ di Claudio Baglioni, album concepito con la voglia di fare la differenza sperimentando assieme ad artisti come Peter Gabriel o Paco De Lucia. Poi “Guarda dove vai“ di Vasco. Ricordo che andai nel suo studio a lavorare su questo inedito da inserire nel live “Fronte del palco“, convinto che prima di sera ci saremmo detti addio prendendo atto della nostra inconciliabilità. E invece. E poi “Tutte storie“ di Eros Ramazzotti, perché è il disco che ha permesso a tutti noi che ci abbiamo lavorato di girare il mondo e di incrociare esperienze incredibili come il duetto di “Cose della vita“ con Tina Turner. Ma ringrazio infinitamente tutti gli artisti con cui ho lavorato per il tanto che hanno saputo darmi".