Goran Bregovic agli Arcinboldi: "La mia vita è un miracolo, spero qualcosa resti"

Data milanese per «Three letters from Sarajevo», l'album uscito nel 2018 dopo cinque anni di silenzio

Goran Bregovic

Goran Bregovic

Milano, 7 aprile 2019 - Goran Bregovic ha portato nel mondo l’immensa cultura dei Balcani e tutti noi ci siamo riconosciuti nella sua musica, nella sua poesia. Artista d’immane talento, uomo di pace, torna su richiesta dei fan con la Wedding and Funeral orchestra al Teatro degli Arcimboldi, il 13 aprile, e «Three letters from Sarajevo». L’album uscito l’anno scorso, dopo cinque anni di silenzio, rompe il tabù della guerra e rende omaggio alla città dove è nato nel 1950: un dialogo fra le religioni monoteiste, ebraica, cristiana e musulmana.

Cosa significa per lei, tornare a Milano?

«Sono venuto per la prima volta con Kusturica nel 1987 per girare scene de “Il Tempo dei GitanI”. Oggi la città è cambiata, sempre in evoluzione, bellissima. Sono fortunato a venirci spesso in concerto, il pubblico è caloroso».

Dedica il suo ultimo lavoro a Sarajevo, città che ha abbandonato anni fa. Come vede il futuro?

«Quando è scoppiato il conflitto nei Balcani, ero a Parigi e ho deciso di vivere lì, dove vige un’antica tradizione d’accoglienza. Sarajevo è molto piccola ma, da sempre, possiede la stessa vitalità delle metropoli europee. È crocevia di culture che hanno animato la vita intellettuale e sociale. Nonostante la guerra, tutto questo è rimasto. I conflitti hanno cercato di piegare la popolazione, hanno preso di mira le persone, le cose, il loro pensiero. La gente ha combattuto odio e violenza e continuerà a farlo».

Crede sia possibile un dialogo interreligioso?

«L’intolleranza tra popoli di diverse culture e religioni ha radici profonde, ma ora si deve cambiare. La miglior lezione che un uomo può dare è saper comunicare e convivere con le differenze. Sono affascinato e ispirato da contaminazioni culturali e musicali. La musica è universale, arriva dove lingua, dialettica e politica non sanno arrivare». 

Cosa pensa di aver ricevuto dall’Italia?

«L’amore che ricambio con tutto me stesso. La vostra tradizione musicale è straordinaria; sono felice che apprezziate la mia musica».

Lei è un uomo di frontiera ma si parla di chiuderle.

«È antistorico. L’Europa con le sue svariate civiltà si è formata nei secoli grazie alle grandi migrazioni. Con l’accoglienza, il patrimonio storico, culturale, umano si è arricchito. Ci sono persone che fuggono da guerra e povertà, ma con un’intelligenza e, spesso, una preparazione che può arricchire i nostri Paesi. Ricordo sempre che Steve Jobs, era figlio di un emigrato siriano. I profughi portano ricchezza, non solo problemi».

Le è rimasto un sogno?

«Vengo da un contesto culturale piccolo, sconosciuto, ora tengo concerti dalla Siberia al Cile. Un miracolo. Spero di poter scrivere ancora qualcosa di solido, che resti. Vorrei che le mie figlie possano essere fiere di papà Goran».