Ludovico Einaudi: "La mia musica vola alto (o nuota sott’acqua)"

Il compositore e pianista: il mio disco figlio dei lockdown, ho necessità di un’astrazione capace di distaccarmi da un mondo che talvolta non amo

Ludovico Einaudi

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Per Ludovico Einaudi il tradizionale appuntamento prenatalizio col pubblico milanese prende il volo in estate, con l’aggiunta di altri due concerti ai nove già in cartellone. Undici esibizioni, insomma, in programma dal 3 al 18 dicembre al Dal Verme per presentare l’ultimo album del pianista piemontese "Underwater" affiancato da Redi Hasa al violoncello, Federico Mecozzi al violino e Francesco Arcuri, elettronica e percussioni.

Einaudi, il titolo “Underwater“ sembra manifestare il desiderio di trasportare l’ascoltatore in un’altra dimensione.

"Intendo una musica che si nutre di sentimenti molto umani, ma al tempo stesso porta nel Dna un certo distacco dalla terra. Diciamo che vola alto o, appunto, sott’ acqua. La mia una natura abbastanza astratta e sono felice che venga apprezzata da chi viene a vedermi. Un’astrazione capace di distaccarmi, a tratti, da un mondo che non mi piace".

Di astrazione gli ultimi due anni ne hanno portata abbastanza.

"Tre anni fa l’album ‘Seven days walking’ è nato in una sorta di auto-lockdown, con la voglia di scomparire dentro ad un turbine nevoso alla ricerca della concentrazione giusta, mentre nella realizzazione di ‘Underwater’ non ne ho avuto bisogno perché è stato il mondo a fermarsi".

Un disco figlio del lockdown, dunque?

"Rientrato da un tour in Asia e Australia, ad inizio 2020 m’ero preso qualche giorno di vacanza in montagna con la famiglia quando la situazione sanitaria è precipitata e siamo rimasti bloccati lì. Ho provato una sensazione stranissima, come se la mia testa si ossigenasse liberandomi dalle oppressioni del quotidiano, dal pulsare del mondo. Non avere scadenze a breve mi ha messo nella prospettiva di quando avevo 18 anni e, non sapendo cosa sarebbe stato di me, facevo musica per puro diletto. Così, per passare giornate tutte uguali, ho cominciato a produrmi in piccoli live notturni e a tenere una specie di diario musicale".

Risultato?

"Un paio di mesi dopo il lockdown, però, riascoltando quel materiale, ho scoperto cose molto interessanti, materia poetica in cui mi riconoscevo completamente che ho pensato di tramutare in un nuovo lavoro. Dopo un progetto complesso come ‘Seven days walking’ e le sue quasi 6 ore di musica, volevo fare qualcosa di più contenuto, di più leggero, simile a quei romanzi che non superano le 250 pagine".

L’album è stato preceduto dalle colonne sonore di due film di spessore quali “The father“ e “Nomadland“.

"Bè, ‘The father’ è un film pensato nei minimi dettagli e quindi pure la musica è stata molto ragionata; sarebbe stato uno sbaglio, infatti, interromperne il sottile filo narrativo con un commento sonoro invadente. Questo mi ha spinto a lavorare per sottrazione. La soundtrack di ‘Nomadland’, invece, è stata creata utilizzando brani attinti da ‘Seven days walking’ e quindi per loro natura già vicini a quel tipo di narrazione. Una colonna sonora sviluppata attorno a temi musicali che ricorrono in forma talora rapsodica come pensieri di uno che cammina".