Vaiolo delle scimmie, Galli: non sono preoccupato, non sembra epidemico in ambito umano

Così l'infettivologo: questa volta non mi fascerei la testa, questo virus non si è evoluto nella nostra specie

Massimo Galli

Massimo Galli

"Preoccupazioni per il vaiolo delle scimmie? Questa volta non mi fascerei la testa. Siamo, infatti, di fronte a un virus che non sembra avere le caratteristiche per mettere in piedi un'epidemia in ambito umano". Così Massimo Galli, già direttore del reparto di malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano. "Abbiamo a che fare con un virus a Dna, stabile rispetto a quelli a Rna, che somiglia a quello del vaiolo ma è tutta un'altra storia. E soprattutto questo patogeno non si è evoluto nella nostra specie, e nemmeno nelle scimmie a dire il vero. Per quello che sappiamo al momento: viene direttamente dal mondo animale, crea un certo numero di infezioni, poi si autolimita", dice Galli.

Vaiolo delle scimmie, Oms: "92 casi, situazione evolve"

Ad attenuare le preoccupazioni anche il fatto che, "di solito, nelle persone infettate le manifestazioni sembrano essere lievi. Negli Usa, quando nel 2003 c'è stato un focolaio con 70 casi, non c'è stato nemmeno un morto". Oggi, spiega "se ne conoscono due ceppi: uno dell'Africa occidentale, trasmesso, probabilmente, da un particolare ratto di notevoli dimensioni e che fu all'origine dei casi del 2003 negli Stati Uniti. L'altro ceppo è quello dell'Africa centrale, che verosimilmente si trasmette attraverso scoiattoli".

Galli chiude con una riflessione: "Dei milioni di animali importati dalle aree tropicali in Europa o nel Nord America, come compagnia o 'decorazione', ci possono essere esemplari che ci portano regalini non piacevoli".  Per Galli, in ogni caso, ora, rispetto ai casi isolati in questi giorni "il punto è cercare il bandolo della matassa, per capire da dove è arrivato il virus, e agire di conseguenza".