Le mani dei clan sulle truffe alle pay-tv

La criminalità organizzata dietro il maxi-business dei “furbetti“ dello schermo: il raggiro grazie a (pochi) abbonamenti reali diffusi a pioggia in rete

Televisione

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Milano, 22 febbraio 2020 - Come funziona la frode? E come riconoscere un servizio “pirata“? Fin dalla comparsa nel panorama televisivo italiano delle prime pay tv, si sono sviluppati mercati illegali paralleli, con tessere e smart card varie capaci di trovare i codici utili per la visione degli eventi sportivi. Ma negli ultimi anni, con la diffusione della “fibra“ nelle case degli italiani, queste piattaforme che viaggiano in rete si sono allargate a macchia d’olio. Così oggi la trasmissione illegale, attraverso lo streaming on line, di canali e programmi legati alle pay tv come Sky, Dazn e Netflix, è molto più semplice di quanto si possa immaginare. Non è un caso che il sistema fuorilegge che viaggia su banda larga accomuni circa due milioni di italiani.

Si chiama Iptv (internet protocol television), meglio noto come il “pezzotto“. È il mezzo attraverso il quale si può fruire del servizio. In gergo tecnico, un set top box, solitamente Android, in grado di collegarsi alla propria tv e a internet per la ricezione delle immagini. Si tratta quindi di un decoder che, grazie al sistema Iptv può ritrasmettere il segnale dei canali televisivi attraverso lo streaming online. Di fatto, per intenderci, un abbonamento pirata a servizi di trasmissione a pagamento, come partite di calcio e film in prima visione. Questa tipologia di abbonamenti è da tempo sotto la lente d’ingrandimento della giustizia, visto che le operazioni di polizia si susseguono. I prezzi variano dai 5 ai 10 euro mensili (tutto compreso) in alcune regioni del Sud, ma c’è chi preferisce pagare qualcosa in più (14 euro) per vedere tutto.

Fra i “pezzotti“ più utilizzati c’è Kodi, magica scatolina nera: al suo interno esiste, infatti, un software che funziona da mediacenter, in grado di codificare la trasmissione dei contenuti e di rilasciarli come flusso di immagini. L’evolversi della tecnologia ha dato la possibilità di usufruire di questi contenuti sulla propria tv anche grazie alle chiavette con entrata Hdmi oppure sui propri smartphone, attraverso la condivisione sulle chat Whatsapp e Telegram. Non solo, perché proprio sulle più importanti app di messaggistica è possibile risalire alle liste Iptv, da configurare sul proprio box tv, contenenti sia i canali gratuiti, per cui sarebbe consentito l’uso di questi decoder, soprattutto dove il segnale del digitale terrestre è debole o assente, sia per i canali a pagamento.

Da solo il “pezzotto“ non basterebbe per gustarsi eventi come le più importanti partite di calcio. Sullo sfondo c’è la criminalità organizzata che ha capito come la diffusione di contenuti a pagamento sia una fonte eccezionale di guadagno. Perciò investono in complesse infrastrutture tecnologiche che alla base hanno comunque l’acquisto di abbonamenti originali: in seguito il contenuto passa attraverso un sistema di decoder/encoder per non far risalire al codice della sottoscrizione originaria. A questo punto avviene la trasmissione del segnale, tramite internet, a una rete di rivenditori che dietro il pagamento di una modica cifra rispetto al costo reale, permette a milioni di utenti di usufruire del servizio, grazie appunto al “pezzotto“. Con gravi perdite di fatturato (e di clienti) per le pay tv.

Tutto ciò ha un risvolto legale. Che non va a colpire solo chi pone in essere il sistema di diffusione illecita con IPTV, ma anche gli utenti finali, con multe salatissime e il rischio di condanna alla reclusione in carcere. A stabilire le sanzioni penali sulle fattispecie in esame è la legge sul diritto d’autore, n. 633/41. E non sempre l’anonimato della rete può salvare i “furbetti“. Se ci sono di mezzo ricariche Poste Pay, infatti, la polizia postale può risalire a tutti i clienti di un’organizzazione. È già successo. Una sentenza della Corte di Cassazione, la numero 46443/2017, ha inflitto una pena a quattro mesi di reclusione e 2.000 euro di multa per un utente che vedeva Sky in modo illegale. La legge vigente prevede che chi si rende colpevole della visione di Sky, Dazn e Netflix in modo illecito rischia da 2.582,29 a 25.822,26 euro di multa e da sei mesi a tre anni di reclusione. Oltre alla confisca della tv, del computer o anche del telefonino. (2 - Fine)