Tragedia funivia del Mottarone, il ricordo: solo morti e oggetti sparsi ovunque

Andrea Boretti, capo della stazione del Soccorso alpino, fu tra i primi a intervenire: è caduta la funivia, mi dissero. Otto ore a recuperare salme, pareva irreale

La tragedia del Mottarone in tre scatti

La tragedia del Mottarone in tre scatti

Stresa (Verbano-Cusio-Ossola) -  Per una strada sterrata, circondata da abeti antichi, inseguendo il ricordo di quella domenica 23 maggio di un anno fa. La stessa strada percorsa dalla fila dei carri funebri in serata, al primo epilogo del dramma. Un freddo improvviso, quasi innaturale per la stagione, l’attesa per le emozioni dell’ultima giornata di campionato, non avevano frenato l’arrivo di quel piccolo popolo sereno in uno dei luoghi canonici del turismo lombardo-piemontese: il Mottarone. Una mandria che cala da un alpeggio. Gli ombrelloni degli appassionati di aeromodellismo. I resti del nastro che transennava l’area. Sullo sterrato sassi grossi come spuntoni, pozzanghere come laghetti, pigne. Un albero coricato sul tetto di una baita, come a schiacciarla.

Libera i primi ricordi Andrea Boretti, da tre anni responsabile della stazione di Omegna del Soccorso alpino. "Ero in giro in mountain bike. Mi ha chiamato la nostra centrale di Torino. Subito una informazione precisa, terribile: “È caduta la funivia del Mottarone”. Siamo partiti in tre o quattro. Ci siamo ritrovati in una quindicina". La stele con i nomi delle quattordici vittime, ancora coperta in attesa della cerimonia di oggi. Due monconi della fune traente tagliano la strada come lunghi serpenti neri. L’impianto con il cavo che penzola nel vuoto. Il pilone numero 3.

"Alle 12.20 – ricorda Boretti – eravamo sul posto. Io, altri tre, due o tre poliziotti, siamo scesi dall’alto, dalla stazione di arrivo. Ci abbiamo messo non più di dieci minuti. La cabina era sulla destra, con il carrello contro un albero. Non sono uno molto impressionabile, ma quello che ho visto è impossibile da dimenticare. Dappertutto persone e oggetti, oggetti e persone. C’erano borse, documenti, scarpe, thermos, un pacchetto con del prosciutto che forse sarebbe dovuto servire per un pic-nic, un numero incredibile di telefonini e tanti non si vedevano perché erano rimasti sotto la cabina. Un passeggino mi ha fatto pensare al bambino che l’aveva occupato fino a qualche minuto prima. Stavano caricando sull’elicottero Mattia Zorloni, quel bambino di cinque anni che sarebbe poi morto in ospedale a Torino. Il piccolo Eitan era già stato prelevato dall’elisoccorso. I genitori, i nonni, il fratellino erano con altre persone nella cabina, dove l’equipaggio dell’elisoccorso stava tentando di rianimare un uomo. Era accorsa una dottoressa, stava facendo jogging nella zona, era lì, ancora in tuta".

Il pendìo è ripido, la salita faticosa seguendo un sentiero tracciato un anno fa dal calpestio di centinaia di piedi. Gli alberi tagliati per consentire il sollevamento della cabina. Su un ceppo è appoggiato un mazzo di fiori rinsecchiti. La spianata sotto il sole rimanda un luccichio: sono i minuscoli frammenti del plexiglass della cabina. Boretti indica la pianta, dov’erano finite, dopo un volo di decine di metri, le due batterie di emergenza, in pezzi, e uno dei forchettoni, protagonisti e simbolo negativo della tragedia del Mottarone.

«Eravamo in un silenzio totale. Intanto la gente salita con la funivia scendeva a piedi, sembrava una migrazione. In pratica abbiamo lavorato solo per recuperare le salme fino a quando non è arrivato il nulla osta per la rimozione. Con i vigili del fuoco abbiamo impiantato una teleferica con le barelle. Loro preparavano i corpi e noi li portavamo giù. Così fino alle otto di sera". Morti che attendono verità e giustizia. Il dolore di chi è rimasto. Lo strascico pesante di difficoltà per gli albergatori e per quanti hanno attività sulla vetta. Cosa ha lasciato il dramma a un soccorritore? "Rabbia sicuramente. Una storia che si ripete: tanti innocenti che pagano per colpa di pochi".