Morte sul Frecciarossa, due anni dalla tragedia di Livraga

Lodi, ultime verifiche per l’inchiesta sul deragliamento. Parenti e amici ricordano i due macchinisti

Frecciarossa deragliato a Livraga, nel Lodigiano (Ansa)

Frecciarossa deragliato a Livraga, nel Lodigiano (Ansa)

Due anni di indagini , silenzi e dolore. Domani sarà il secondo anniversario dalla tragedia del Frecciarossa 1000 Milano-Salerno deragliato alle 5.35 di giovedì 6 febbraio 2020 all’altezza dello scambio di Livraga, nella campagna lodigiana. Il treno 9595 (oggi quel treno si chiama 9505) Alta velocità era il primo della giornata a partire. Quella mattina aveva lasciato da appena venti minuti la stazione Centrale di Milano con a bordo solo 28 passeggeri e 5 dipendenti di Trenitalia. Poi la tragedia: quel deviatoio lasciato aperto, l’impatto tremendo alla massima velocità (290 chilometri all’ora). Per i due macchinisti, Giuseppe Cicciù, 51 anni, di Cologno Monzese, e Mario Dicuonzo, 59 anni, di Pioltello, non c’è modo di salvarsi. Una decina i feriti tra passeggeri e personale di bordo, il più grave con un trauma toracico guaribile in 40 giorni, per gli altri contusioni al volto e al corpo. Un disastro, uno choc per il mito dell’Alta velocità. A ottobre scorso la Procura di Lodi ha chiuso le indagini con 15 indagati (tra cui Maurizio Gentile, ex ad di Rfi, e Michele Viale, presidente di Alstom Ferroviaria, e i cinque manutentori di Rfi), oltre alle due società Rfi e Alstom Ferroviaria per la responsabilità amministrativa, per disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Ma sul caso gli inquirenti sono ancora al lavoro per un’aggiunta all’attività investigativa. Solo dettagli in attesa della convocazione davanti al gip di Lodi. Per la Procura di Lodi le cause principali del deragliamento sono tre: l’attuatore del deviatoio del binario "difettoso" prodotto da Alstom Ferroviaria, la scarsa formazione dei manutentori di Rfi in materia di prove di concordanza e soprattutto "l’assenza a livello nazionale di sistemi automatici di controllo per verificare il corretto funzionamento delle logiche d’impianto". Ma in attesa del prosieguo della vicenda giudiziaria, resta ancora vivo il ricordo dei due macchinisti. Una vita sui treni fatta di riposi saltati, di fatica e sacrifici. È indelebile il ricordo dei colleghi di Mario Dicuonzo (suo figlio Federico sta seguendo le orme del padre e da circa un anno ha iniziato a lavorare per Trenitalia) e Giuseppe Cicciù. Paolo Ludovico , 46 anni, macchinista dal 1997, conosceva bene i due colleghi scomparsi. "Quella tragedia mi sembrava una cosa impossibile – dice il macchinista –. Ancora adesso quando passo da Livraga penso a loro e a quello che è accaduto". "Mario – sottolinea il macchinista – quando c’era il pensionamento di un collega scriveva sempre una frase, o addirittura una poesia. Era una persona di cuore. Di Giuseppe ho ancora il messaggio che mi aveva scritto quando mi ero sposato. È un messaggio che resterà per sempre nel mio telefono. Non li dimenticheremo".