Le mani della 'ndrangheta sui fondi per il terremoto 2012: chi sono gli arrestati

L’operazione condotta da carabinieri e Dda. Lavori alle ditte “amiche” o percentuali sul totale: il ruolo chiave di un architetto nipote di un boss della cosca Dragone

Il crollo del campanile della chiesa di Santa Barbara durante il sisma del 2012

Il crollo del campanile della chiesa di Santa Barbara durante il sisma del 2012

Mantova - Lo chiamavano il ‘terremoto dimenticato’, quello del 2012 nel Mantovano, relegato a un ruolo marginale rispetto alla tragedia consumatasi contemporaneamente in terra emiliana. Dimenticato dai media, forse trascurato dalle istituzioni, il sisma non è invece sfuggito agli appetiti della ‘ndrangheta. La conferma arriva da un’inchiesta condotta dai carabinieri mantovani e dalla Procura distrettuale antimafia di Brescia, che hanno condotto all’emissione di dieci provvedimenti cautelari. L’operazione, denominata ‘Sisma’ ha portato alla luce i legami tra ‘infiltrati’ delle cosche calabresi e irreprensibili professionisti e imprenditori padani. In terra mantovana era già successo in passato con lo smantellamento della rete costruita dalla cosca Grande Alacri. Ora la legge getta scompiglio tra i loro più fieri nemici, gli appartenenti alla famiglia Dragone. Entrambi i clan sono originari di Cutro, nel Crotonese ma dilagati in Italia e all’estero.

L'uomo chiave

A Mantova la cosca faceva perno, secondo gli inquirenti, su un giovane professionista, l’architetto Giuseppe Todaro, 36 anni, l’uomo chiave dal quale passavano le pratiche di risarcimento di alcuni Comuni del cratere del sisma, ovvero Poggio Rusco, Borgo Mantovano, Magnacavallo, Sermide e Felonica. L’architetto Todaro, nipote per via materna del boss Antonio Dragone (che venne ucciso in un agguato nel 2004) ricopriva l’incarico di tecnico esterno delle cinque amministrazioni: poteva istruire le pratiche, valutarle, autorizzare l’erogazione dei fondi regionali.

È accusato di aver messo in piedi assieme al padre Raffaele, di 62 anni, e ad alcuni prestanome, una o più società di costruzioni fittizie. I privati che presentavano richiesta di risarcimento e progetti per la ricostruzione erano costretti a rivolgersi alle ditte targate Cutro. Se non lo facevano la pratica si incagliava. Non sempre, però, era necessario il ricatto. Altri interessati vedevano in Todaro una ‘scorciatoia’: bastava accontentare l’architetto (e passargli il 3% di quanto ricevuto). In un caso si è scoperto che un rimborso di 595mila euro era ‘lievitato’ a 950mila.

L'imprenditore coraggioso

L’inchiesta ‘Sisma’ nasce dalla ribellione di un imprenditore che si era rivolto alla Struttura commissariale della Regione Lombardia. Di qui era partito un esposto alla Procura. Era il 31 gennaio del 2020: ci sono voluti due anni di indagini, intercettazioni, controlli finanziari e appostamenti per fornire alla Dda un quadro esaustivo. E ieri sono scattati i provvedimenti: sono stati arrestati Giuseppe e Raffaele Todaro e gli impresari edili Felice D’Errico, residente a Mirandola, e Giuseppe Di Fraia, casertano abitante a Poggio Rusco. Un quinto destinatario del provvedimento di custodia in carcere è ancora ricercato. Ai domiciliari sono finiti l’architetta ostigliese Monica Bianchini, il bancario Enrico Ferretti, reggiano, considerato dall’accusa il ’consulente finanziario‘ dei cutresi, Carlo Formigoni di Revere, uno dei presunti corruttori dell’architetto calabrese, Antonio Guerriero, un napoletano residente a Mantova, considerato un prestanome dei Todaro che gli avevano intestato la loro più importante società di costruzioni, e infine il parmense Pierangelo Zermani.