Chiamate al 112, il 60% non è per vera emergenza

Inutile più di una telefonata su due. La psicologa dei consumi e della salute: è saltato il filtro dei dottori

Centrale operativa 112

Centrale operativa 112

Il record è stato raggiunto nel 2020, l’anno del Covid: quasi 3 milioni di chiamate al 112 definite da Areu "inappropriate". Di fatto non classificabili come vere emergenze, secondo l’Agenzia regionale emergenza urgenza. Negli ultimi cinque anni (2017-2021) mai si erano toccati questi numeri, superati solo nel 2015 e nel 2016 allargando l’arco temporale di confronto a partire dal 2010, quando è iniziato a livello sperimentale a Varese il Nue 112, il Numero unico di emergenza europeo che filtra e smista alle forze dell’ordine competenti (polizia o carabinieri), ai vigili del fuoco o al soccorso sanitario le richieste di aiuto. Ma allora il servizio, esteso a tutta la Lombardia solo nel 2014, era ancora in fase di rodaggio e doveva entrare a pieno nella vita dei cittadini.  

Nel 2020 , con la diffusione della pandemia e il lockdown, le centrali uniche di risposta situate a Milano, Varese (competente anche per Bergamo, Como, Lecco e Monza) e Brescia (che copre Cremona, Lodi, Mantova, Pavia e Sondrio) hanno ricevuto 4,9 milioni di chiamate per situazioni vissute come emergenza. Di queste, secondo quanto certificato da Areu, 3 milioni di fatto non lo erano. Il 62% (il 2% in più della media registrata dal 2010 al 2021) sono state filtrate dagli operatori delle centrali telefoniche prima che arrivassero ai comandi delle forze dell’ordine o al 118, evitando perdite di tempo e centralini intasati. "Col Covid – spiega Guendalina Graffigna, professoressa di Psicologia dei consumi e della salute e direttore dell’EngageMinds Hub dell’Università Cattolica – lo stato di allarme provocato dalla comparsa di sintomi riconducibili alla pandemia è aumentato. Ma stiamo assistendo da tempo anche a un altro fattore, che la pandemia ha amplificato: il peggioramento della relazione tra cittadino e medico di base".

Il Covid, in pratica, sembra aver deteriorato "il rapporto di fiducia tra il paziente e il proprio medico – sottolinea Graffigna – mettendo in risalto i problemi della medicina territoriale. Da una parte ci sono difficoltà oggettive, ovvero il carico di lavoro a cui sono sottoposti i medici di base. Dall’altra un problema di relazione: è come se i cittadini vedano nel rapporto col loro medico un’esperienza andata male". Il risultato è "una corsa ai pronto soccorso e il ricorso alla chiamata di emergenza per situazioni che vengono vissute come urgenze in mancanza di un filtro sul territorio che aiuti a decifrarle. Motivo per cui, oggi, si ricorre sempre di più per questo ruolo anche al farmacista di fiducia".