Elettricità, natura e aziende agricole: in Lombardia è già iniziata la guerra dell’acqua

Dighe strategiche per la crisi energetica, laghi vuoti e sbarramenti aperti per non lasciare a secco i campi

Un tratto in secca del Ticino

Un tratto in secca del Ticino

Milano -  Un lungo viaggio dalle Alpi al Po. In mezzo, territori che chiedono milioni di litri d’acqua, che ogni stagione diventa sempre più scarsa. Non è il solito allarme siccità, ma una guerra mai dichiarata che divide i lombardi e che riprende vigore ogni volta che le precipitazioni mancano e le esigenze di produzione idroelettrica, tutela della natura, produzione industriale e agricola si trovano a doversi dividere una risorsa meno abbondante, mettendo in crisi un difficile e complesso equilibrio di regolazione che gestisce dighe alpine, deflusso dei laghi, dei fiumi e dei canali artificiali.

In Lombardia ci sono 351 impianti idroelettrici con una potenza installata complessiva di 307 mega-watt, una potenza media di poco inferiore ai 3 mega-watt e una produzione lorda di 1.150 gigawattora all’anno. Un patrimonio enorme, specie in tempi in cui bisogna affrancarsi dalla dipendenza del gas russo, che alimenta in gran quantità le centrali termoelettriche. La Lombardia vale un terzo dell’intera corrente prodotta dall’acqua in Italia e la gran parte degli impianti è in Valtellina e nel Bresciano. Nel decreto Ucraina bis entrano nuove norme sulle derivazioni idroelettriche, che dovevano essere messe in appalto per l’affidamento della gestione e degli investimenti. Le prime gare dovrebbero svolgersi nel 2024 per le dighe non di proprietà dell’ex monopolista Enel, per quelle dell’azienda partecipata dallo Stato i termini scadono nel 2029. Troppo importanti per sostenere l’economia traballante, le dighe non saranno lasciate vuote. E si studia anche una nuova tecnologia, che consente di conservare più acqua negli invasi. A valle delle centrali, il viaggio dell’acqua prosegue nei fiumi come l’Adda e poi incontra i laghi.

Una settimana di piogge intermittenti ha salvato, per ora, i grandi bacini. Ma la neve in montagna si è ridotta del 20% in 15 giorni a causa dell’aumento delle temperature, alla fine di un inverno che è stato sotto quota del 67%. La carenza d’acqua, che lascia scoperte le sponde e concentra gli inquinanti, ha un peso che non è stato sollevato. Il Lago Maggiore, risalito a 20 centimetri sopra lo zero idrometrico è pieno per il 37,8%, mentre il Lago d’Iseo è arrivato a +43,3 centimetri e una percentuale del 52,1%. Il Lario, il più in difficoltà, è tornato sopra lo zero idrometrico attestandosi a 17 centimetri, con un tasso di riempimento risalito al 33 dopo essere arrivato addirittura al 6%. Tanto è bastato, nonostante la crisi, per riaprire la diga di Olginate, nel Lecchese, che dà acqua all’Adda, arrivato a livelli critici perché e che volta alimenta canali come la Martesana e la Muzza, ad alto impiego irriguo. Il bacino dell’Adda ha un riempimento inferiore alla media degli ultimi quindici anni del 57.2%. E le percentuali oscillano, ad eccezione del Verbano, su numeri simili in tutta la Lombardia. È così il disagio si riflette sui corsi minori, dai fiumi verso i canali irrigui.

Il Consorzio Villoresi, che gestisce l’intero reticolo dal Ticino all’Adda, spera soltanto "nelle prossime settimane e nella pioggia". La Martesana, che da un mese dopo la manutenzione è tornata a ricevere l’acqua, è in serie difficoltà. Viaggia a 2 metri cubi d’acqua al secondo, contro i 30 di una normale stagione. Il consorzio dell’Adda ha già derogato alla regola del deflusso minimo vitale del fiume. E dal lago esce solo l’acqua per "le sole competenze a fini ambientali". Impossibile cominciare a distribuire acqua ai campi, dove nel frattempo le colture cominciano a richiedere un apporto idrico costante.

Se Coldiretti ha già lanciato il suo allarme sul riso, perché allagare i terreni è diventato complicato, l’idea di estendere le colture cerealicole anche ai terreni lasciati a riposo, deroga concessa dalla Ue, per far fronte al calo di forniture dalle zone di guerra, rischia di trasformarsi in un paradosso, di fronte alla difficoltà di fornire un apporto d’acqua sufficiente al mais i cui prezzi sono saliti a una media di 379 euro la tonnellata e partiva da 13-14 euro. Un affare, necessario per alimentare gli allevamenti bovini e suini, che potrebbe sfumare o essere pesantemente ridotto. Non è quindi difficile intuire come se la primavera dovesse rivelarsi scarsa di precipitazioni come l’inverno, la guerra dell’acqua non sarebbe soltanto una immagine figurata, ma si aprirebbero seri conflitti fra le esigenze delle comunità, fra chi vive in montagna o sui laghi e chi dipende dai campi per il reddito familiare.