Sequestro Cristina Mazzotti, misteri dopo 50 anni: "Il legame di omertà non si è sciolto"

Rapita il primo luglio del 1975, il corpo della giovane fu trovato a Galliate. La relazione della Squadra Mobile di Milano riscostruisce complicità, ruoli e mezzi del commando. Ma i tanti silenzi ostacolano la verità

Cristina Mazzotti, rapita nel luglio '75, morì un mese dopo

Cristina Mazzotti, rapita nel luglio '75, morì un mese dopo

Milano - Chi rapì Cristina Mazzotti, la notte del primo luglio del 1975 a Eupilio, nel Comasco? In quanti componevano il commando? Chi furono gli ideatori? Le indagini e un lungo percorso giudiziario hanno portato a individuare, nella criminalità lombarda e piemontese, tutti i carcerieri della studentessa diciottenne, segregata in una buca a Castelletto Ticino (Novara), sottoposta alla somministrazione di dosi massicce di calmanti ed eccitanti, rinvenuta senza vita un mese dopo in una discarica a Galliate. Non è stato così per gli esecutori materiali e gli organizzatori.

La relazione inviata alla Procura di Milano è firmata dal dirigente della Sezione criminalità organizzata, Nicola Lelario, e dal dirigente della Squadra mobile milanese, Marco Calì. In una cinquantina di pagine racchiude gli accertamenti sui quattro iscritti nel registro degli indagati per concorso in omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. Nell’avviso di conclusione indagini il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Stefano Civardi, attribuisce a Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia il ruolo di esecutori del sequestro, quello di ideatore a Giuseppe Morabito e agli scomparsi Francesco Aquilano e Giacomo Zagari. Tutto questo "in concorso con altri individui non potuti ancora identificare".

La ricostruzione del sequestro

Secondo la ricostruzione della Mobile, attorno alla 1.30, sul luogo dell’agguato erano presenti almeno tre auto. Una Giulia blu che sorpassò in curva, attivando più volte i fari abbaglianti, la Mini Minor su cui viaggiava Cristina in compagnia di due amici. Una Fiat 125 di colore giallino che, ponendosi di traverso, bloccò la Mini. Una Fiat 128 chiara notata da un testimone nei pressi. Ad agire sarebbero stati almeno in sette. Secondo Latella tre persone si trovavano con lui sulla 125. Talia rimase alla guida. Dei due che si avvicinarono alla Mini Minor dalla parte del conducente, uno parlava sicuramente con accento meridionale (Latella), mentre non ha mai avuto un nome l’altro, più deciso, armato, una maglione rosso a collo alto a coprirgli parte del viso, nessun inflessione meridionale. L’uomo (Calabrò) che si portò sul lato passeggero era armato, indossava un impermeabile chiaro con il cappuccio alzato e parlava con inflessione dialettale meridionale. Erano almeno due gli uomini sulla seconda auto (la Giulia?) che fece da “guida” e sulla quale, ad Appiano Gentile, la Mazzotti, incappucciata, venne fatta salire per essere trasportata nella prigione. "Almeno" due banditi perché non è plausibile che la vettura abbia percorso i 50 chilometri da Appiano Gentile e Castelletto Ticino con il solo autista e l’ostaggio. Infine non è mai stato identificato chi lasciò una impronta sulla Mini Minor.

Chi sono gli indagati

Gli attuali indagati. In un interrogatorio con il sostituto procuratore di Milano, Francesco Di Maggio, che si protrasse per l’intera giornata del 4 febbraio 1985, Angelo Epaminonda, "il Tebano", disse di Antonio Talia: "Trattasi di uno degli autori del sequestro di Cristina Mazzotti. Fu proprio costui a confidarmi di aver partecipato al sequestro come ‘manovale’, incaricato del prelievo della vittima". Davanti all’evidenza di due impronte del suo pollice destro sui cristalli delle portiere della Mini Minor, Demetrio Latella, soprannominato "Luciano", ammise la sua partecipazione al sequestro davanti al sostituto procuratore della Dda di Torino, Onelio Dodero, il 27 dicembre 2007. Lui e Talia avevano ricevuto la proposta del "lavoro" di "prendere una persona" da Giuseppe Calabrò, detto "u dutturicchio", in un bar di Milano. Aveva raggiunto il luogo dell’agguato con Talia, Calabrò e un’altra persona la cui posizione è stata stralciata in quest’ultima inchiesta. Come compenso ricevette da Calabrò, a Sanremo, 20-30 milioni di lire.

A distanza di tanto tempo nella tragedia di Cristina Mazzotti sopravvive un grumo di interrogativi. La relazione della Squadra mobile di Milano si conclude con una riflessione amara sulla solidarietà omertosa: "La mancata indicazione da parte di Latella degli altri soggetti presenti, alcuni dei quali condannati poi in via definitiva, con i quali si sono sicuramente incontrati sia Latella che Talia/Calabrò, il fatto che, a loro volta, questi ultimi continuino a negare la loro presenza al momento del sequestro, rende palese che ancor oggi esiste un legame tra i rapitori incentrato sull’omertà mai venuto meno".