Davide Santon, l'ex interista dà l'addio al calcio: "Il mio corpo ha detto basta"

Lanciato da José Mourinho nella sfida di Coppa Italia tra Inter e Roma, a 31 anni deve rinunciare all'attività agonistica per problemi di salute

Davide Santon ai tempi della maglia nerazzurra

Davide Santon ai tempi della maglia nerazzurra

MIlano - «Il mio corpo ha detto basta, sono costretto a ritirarmi». A soli 31 anni Davide Santon, uno dei prodotti della “cantera interista“ lanciato nel grande calcio da José Mourinho nella sfida di Coppa Italia tra Inter e Roma (e poi protagonista col Newcastle e proprio con i giallorossi), è costretto ad appendere la scarpe al chiodo. Una decisione sofferta ma allo stesso tempo obbligatoria per il terzino, purtroppo da tanto tempo perseguitato dalla sfortuna e dagli infortuni: «Sono costretto a smettere di giocare. Non per non aver avuto offerte, non per altro, ma perché dopo tanti infortuni avuti in passato, ora il mio fisico non ce la fa più - lo sfogo in un’intervista rilasciata a TMW -. Non voglio, ma devo. Altrimenti, il rischio sarebbe di avere delle protesi. Ancora riesco a camminare sulle mie gambe ma per fare il giocatore professionista serve altro».

Tanta tristezza e non pochi rimpianti nelle parole di Santon, talento mai del tutto sbocciato proprio a causa dei ripetuti problemi fisici. La lista degli infortuni di Santon è lunghissima: «Ho il ginocchio sinistro dove non mi sono operato che però è andato e mi impedisce di fare tante cose. E poi c’è il famoso ginocchio destro: mi sono operato tre volte. Cartilagine, tolto tutto il menisco esterno ma appena faccio un minimo sforzo, si gonfia e non si piega più. In automatico tutti i miei infortuni al flessore partono da lì. In Serie A devi spingere, il ginocchio destro non si piega, sforzavo la gamba sinistra e il flessore è andato. Ogni minimo sforzo c’è sempre da stirarsi, da star fermi. Giochi una gara, ne stai fuori cinque».

Tanti i tecnici e i maestri di calcio che lo hanno allenato: da Mourinho a Benitez, e poi Leonardo, Gasperini, Mancini, Conte che lo ha pure convocato in Nazionale, Pioli, Spalletti, Pardew, De Boer, Fonseca, Di Francesco, Ranieri… Oltre ai mister che lo scoprirono nel settore giovanile all’Inter. Riavvolgendo indietro il nastro, Santon si è soffermato sul periodo più bello della propria carriera: «Il primo all’Inter, quando vincemmo tutto. Ho avuto stop, infortuni, ma è stato bellissimo: ero così giovane e non mi rendevo conto che stavamo scrivendo la storia. Abbiamo perso solo la Supercoppa Europea, è stato il momento più bello. Ero con dei campioni straordinari nello spogliatoio».

Quello il ricordo più bello anche se con lo Special One non fu tutto così semplice: «Con Mourinho ho vissuto il periodo più glorioso ma non lo metto tra i più sereni: ero giovane, c’era tanta pressione nell’ambiente. Quando devi vincere è giusto che sia così. L’anno della Champions sono stato fuori sei mesi a causa di problemi fisici, non è stato un periodo di grande serenità». Poi ci sono stati giorni ancor più diffici a Roma, l’ultima sua squadra, dove l’ambiente lo criticava senza conoscere a fondo la sua situazione: «Mi dicevano ‘stai a rubare i soldi a Roma’. Figuriamoci: col club eravamo a posto sul salutarci, il punto è che non riuscivo a passare le visite mediche altrove».

Infine il rimpianto più grande: «Quando mi sono infortunato a diciotto anni in Under 21, mi sono fatto male perché mi fecero una brutta entrata... Sentii che il ginocchio si era rotto, mi faceva male: a fine primo tempo entrai negli spogliatoi, lo sentivo male, il secondo allenatore mi disse ‘abbiamo bisogno di te, tieni botta’ e decisi di non mollare. Giocai tutto il secondo tempo col ginocchio rotto e lo sfondai. Da una fratturina diventò una fratturona. Invece di fermarmi, di ascoltare il corpo, decisi di andare avanti». Coraggio. Professionalità. Amore per la maglia. E poi passione. Tutto questo Davide lo ha messo in campo sin da ragazzino.

Ora però il pallone si è sgonfiato. E potrebbe non far parte del futuro dell’ex baby prodigio nerazzurro: «Il calcio è diventato un mondo dove non c’è l’amore con cui sono cresciuto. Una volta avevo Massimo Moratti come Presidente, era come un papà per me e per tutti i miei compagni, dimostrava affetto ai giocatori. Ora è business, ti usano, ti scaricano e ne prendono un altro. Non so se questo mondo mi appartenga ancora o no… La cosa che mi piacerebbe fare è allenare in un settore giovanile oppure… Ci devo pensare...ti deve partire la scintilla giusta in quello che fai e lì deciderò bene cosa fare, con amore e voglia».