Lombardia, in cantiere la sanità post-Covid: al Pirellone si riapre il fronte riforma

Mentre il Welfare lavora al nuovo assetto degli ospedali e della medicina territoriale in tregua pandemica le opposizioni (ma anche qualcuno in maggioranza) guardano al tagliando della riforma Maroni

Il presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi chiede un’Ats Lariana

Il presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi chiede un’Ats Lariana

Milano, 4 giugno 2020 - La fase 3 della sanità è quella che somiglia meno alla normalità pre-pandemica, specie nella regione italiana più colpita per distacco dal coronavirus. Il comitato tecnico-scientifico e l’assessorato al Welfare stanno lavorando al nuovo assetto degli ospedali, da deliberare e sottoporre entro il 17 giugno al Governo, che ha chiesto a tutte le Regioni di aumentare del 70% i posti in terapia intensiva del pre-pandemia nell’eventualità di una seconda ondata: in Lombardia significa mantenere 1.500 dei respiratori raddoppiati a 1.800 in emergenza. La Regione, in parallelo, sta ridefinendo il sistema di sorveglianza territoriale e le regole per le Rsa, che completeranno il quadro dei servizi sociosanitari post-Covid.

Ieri la Commissione Sanità del Pirellone ha rinviato la votazione del piano sociosanitario regionale, un documento approvato dalla Giunta a novembre, prima del Covid. Il Pd interpreta la mossa come un’ammissione, "per la prima volta, che la pandemia ha messo in luce i limiti evidenti dell’impostazione della sanità lombarda", e il capodelegazione Gianni Girelli chiede di rivedere "la legge quadro". "Si apra il cantiere della riforma sanitaria", concorda il pentastellato Marco Fumagalli, e attacca Giulio Gallera, assessore al Welfare dal giugno 2016: "Non è riuscito ad attuare nulla della riforma sanitaria (l’"evoluzione" maroniana del modello formigoniano era stata varata nell’estate 2015, ndr )".

"Abbiamo rinviato la votazione, in accordo con tutte le forze politiche, perché il testo dev’essere aggiornato: il contesto è stato profondamente mutato dall’epidemia di coronavirus, per cui dobbiamo procedere a una riflessione complessiva sull’ambito socio-sanitario. Inoltre il piano socio-sanitario nazionale non è ancora stato approvato", ribatte il presidente leghista della commissione, Emanuele Monti, e accusa: "Abbiamo dovuto affrontare una crisi senza precedenti, purtroppo da Pd e 5 Stelle non c’è collaborazione, non perdono occasione per fare sciacallaggio politico sulla pelle dei lombardi". Però Monti, tra le "ragioni fondate" del rinvio, inserisce anche il fatto che ad agosto scadono i 5 anni di sperimentazione della legge 23, dopodiché il Governo valuterà la riforma della sanità lombarda: "Approvare il piano prima di questa verifica non è la scelta più adeguata".

E intanto Alessandro Fermi, presidente forzista del Consiglio regionale, e comasco, rimette sul piatto una delle questioni geopolitiche che cinque anni fa infiammavano il dibattito sulla riforma anche più del rapporto tra sanità pubblica e privata e del ruolo della medicina territoriale: la ripartizione delle otto Ats che hanno preso il posto delle precedenti 15 Asl. Se all’epoca la querelle del Sud-Ovest lombardo finì con l’indipendenza della piccola Pavia e l’annessione del Lodigiano alla mega Ats Metropolitana di Milano da 195 comuni e 3,5 milioni di abitanti, Fermi pone la questione del Nord-Ovest: "L’Ats dell’Insubria (Varese e Como) per la sua eccessiva estensione ha constatato l’impossibilità di un coordinamento efficace e puntuale. È quindi utile riflettere su un ritorno a una Ats Lariana che abbia Como e la sua provincia come unico ambito di competenza".