Dilagano le maxi risse tra giovani: "Non sono tutti baby criminali, aiutiamoli"

La docente di Psichiatria all’Università dell’Insubria : "La violenza non è solo sugli altri ma anche su loro stessi"

Maxi rissa a Gallarate (frame video Youtube)

Maxi rissa a Gallarate (frame video Youtube)

Varese - Ci sono giovani della cosiddetta Generazione Z che attraverso Tik Tok e gli altri social si danno appuntamento per massacrarsi di botte, c’erano negli anni ’70 i ragazzi politicizzati che divisi in rossi e neri si affrontavano nelle piazze a colpi di pistola, mentre nel ‘900 i loro nonni a 18 anni appena compiuti imbracciavano il fucile per andare a difendere la patria. È un’età di rottura e contraddizioni estreme l’adolescenza, insieme al corpo cambia anche la consapevolezza di sé e la famiglia inizia a stare stretta come gli abiti che sfuggono di misura. Ci siamo passati tutti eppure non riconosciamo il disagio che attraversa i nostri figli, in questi giorni protagonisti delle cronache per le mega risse organizzate via social. "Sono fenomeni che sicuramente meritano attenzione, non fosse altro per il numero di ragazzi che coinvolgono – spiega la professoressa Camilla Callegari, docente di Psichiatria all’Università dell’Insubria – L’adolescenza di per sé è una fase di passaggio e questi fenomeni vanno contestualizzati nei tempi e le condizioni ambientali in cui viviamo".

Una fase della vita particolare, l’adolescenza, resa eccezionale dalle restrizioni imposte dalla pandemia? "La pandemia è la spiegazione per ogni cosa, ma sicuramente ha influito sulla vita e di conseguenza il comportamento di tutti noi. Pensiamo agli adulti che di fronte alle restrizioni hanno manifestato in alcuni casi posizioni negazioniste o di netto rifiuto, pensiamo quanto quel che è accaduto può aver condizionato i più giovani. L’adolescenza è la rottura con la vita infantile, i ragazzi hanno bisogno di ridefinire se stessi attraverso i rapporti con i propri pari, in questo senso cercano un omologazione che in circostanze normali è offerta dalla scuola, lo sport, la regione. Quella vita in gruppo insomma che in tutti questi mesi è mancata per le restrizioni sanitarie".

In questo modo la realtà è stata sublimata dai social? "I social non sono solo un modo di comunicare, in rete c’è buona parte della vita di questi ragazzi, c’è la musica che ascoltano, c’è la trap che spesso ha dei testi che rimandano alla violenza e alla droga. Il gruppo può essere virtuoso, ma anche diventare patologico, purtroppo nel mondo social spesso il cattivo esempio è utilizzato per acquisire una rapida popolarità".

Costretti a rimanere «Zitti e buoni», per dirla come i Maneskin, in casa loro pur di non disturbare mamma e papà in telelavoro i nostri ragazzi hanno scambiato la violenza con la ribellione? "Ricordiamoci che la violenza è insita in questa età, ragazzi poco più grandi di loro nel secolo scorso si andava in guerra e venivano consacrati nel mito dell’eroe. La violenza non è solo sugli altri, ma anche su loro stessi, purtroppo non possediamo i dati sui gesti di autoviolenza, le mutilazioni che tanti ragazzi si sono inflitti in questi mesi. È suggestivo pensare che la pandemia ha negato il contatto fisico e loro si danno appuntamento per picchiarsi".

Cosa deve fare un genitore? "Sforzarsi di capire, ma soprattutto esserci senza essere poliziotti. Lasciare loro spa zio e non mollare mai, perché all’adolescenza che è una fase di ribellione poi seguono la riconciliazione e il ritorno. I ragazzi possono sbagliare, ma ricordiamoci com’eravamo noi alla loro età, hanno tutto il tempo di rimediare e migliorare. Magari con l’aiuto degli adulti".