Renato Pozzetto, ecco chi è (e cosa fa oggi) l'eterno ragazzo di campagna

L'attore si mette a nudo tra aneddoti e retroscena e parla dei progetti per il futuro: la locanda, lo spettacolo teatrale e un nuovo film

Renato Pozzetto (FotoSchicchi)

Renato Pozzetto (FotoSchicchi)

Varese, 16 settembre 2018 - Renato Pozzetto, 78 anni trascorsi fra le nuvole. Cabaret, teatro, televisione e cinema: una carriera tutta da ridere.

Come è nato il vostro umorismo - suo e di Cochi - così surreale, così diverso da tutto quello che era venuto prima? Paolo Panelli, Walter Chiari, Raimondo Vianello erano grandi, ma molto diversi da voi...

«Io e Cochi già da ragazzi ci divertivamo così. Io e lui venivamo da Milano ma eravamo sfollati a Gemonio. Da bambini giocavamo sempre insieme. Eravamo vicini all’umorismo di Dario Fo, Jannacci, Gaber, che però abbiamo conosciuto solo quando siamo arrivati a Milano. Il nostro ritrovo era alla pasticceria Gattullo, a porta Lodovica.»

Ecco appunto: lì era anche il vostro “ufficio facce”. Mi spiega di cosa si trattava?

«Era un ufficio immaginario dal quale dovevano passare le persone che conoscevamo o anche personalità pubbliche. Una commissione di fantasia li esaminava a uno a uno. I promossi potevano entrare, gli altri erano bocciati. Era una cosa molto surreale». 

È vero che la Carrà a Canzonissima (1974) non vi sopportava?

«Rappresentavamo una grossa novità. Per lei l’umorismo era un’altra cosa. Una volta siamo andati per vederla e parlare di lavoro, ma lei non si è presentata. Uno del suo entourage ci ha spiegato che non aveva potuto incontrarci perché le era morto un pesce rosso. Allora, per non peggiorare la situazione, ci siamo inventati una situazione alternativa: da una cantina spiavamo con un periscopio quello che succedeva sul palco e lo commentavamo a modo nostro. Abbiamo fatto una sigla che è diventata molto popolare, E la vita la vita...»

È vero che non va mai al cinema?

«Andavo alle prime dei film, ma diciamo che il cinema non rientra nei miei programmi.»

Che ne pensa dei nuovi comici?

«Non seguo molto. Le occasioni in cui vedo dei ragazzi che mi divertono davvero sono talmente rare...Mi godo le apparizioni dei vecchi colleghi del Derby: Teocoli, Boldi, le opere dei Vanzina...»

Com’era l’ambiente ai tempi del suo primo film, Per amare Ofelia?

«Le macchine da presa non erano protette, e quindi sul set c’era un rumore pazzesco che copriva tutto. Al punto che in seguito abbiamo dovuto ridoppiare tutto il film, compresi i rumori: l’alito di vento, il suono del tram... È stato come girare di nuovo. Però ne ho approfittato per introdurre dei cambiamenti, molte mie proposte sono state accettate perché ero già famoso. Diciamo che mi hanno coccolato.»

L’attrice più sexy con cui ha lavorato?

«Eh, sono state tante...»

Come non citare il famoso episodio della vasca con Edwige Fenech nel film La patata bollente...

«Eravamo nudi nella vasca, con l’acqua calda. A un certo punto la ripresa si interrompe per il cambio luci. Edwige esce protetta da un accappatoio, e io resto lì a mollo. Sarà stata l’acqua tiepida, sarà stata la vicinanza di un’attrice bella come lei, insomma mi si è irrigidito il meccanismo. Solo che, quando la Fenech è uscita dalla vasca, l’acqua si è abbassata improvvisamente ed è spuntato tutto... Un elettricista che era sul set mi ha detto: “Ue’, Pozze’, guadagnerai anche tanti soldi, ma fai una vitaccia...»

Lei ha lavorato anche con Mastroianni...

«Avevamo recitato insieme in Giallo napoletano. Era molto simpatico. Una volta è venuto per una settimana a casa mia sul Lago Maggiore. Anche lui era un grande appassionato di cibo, lo portavo per trattorie e ristoranti. Quando giravamo il film, stavo in un camper. Un giorno, eravamo al trucco, mi ha detto: ‘Oggi il pranzo lo offro io’. E mi ha portato un vaso di fagioli che aveva cotto lui a casa.»

Lei ama il cibo...

«Sono appassionato da tempi non sospetti. Anche con Ugo Tognazzi, che aveva una casa sul lago di Varese, andavamo a caccia di trattorie e osterie. Quando ancora non avevamo raggiunto una grande popolarità, io e Cochi mettevamo via dei soldi per poterci permettere un pranzo o una cena in locali prestigiosi come il Cantarelli di Samboseto, dove andavamo con gli amici del Derby, per esempio i Moratti. Siccome mi è sempre piaciuto anche il vino, andavo là col mio camper così, finito di mangiare, potevo andare a dormire tranquillo...».

Cosa pensa di questa ondata di trasmissioni che parlano di cucina, spesso super-raffinata?

«Molti chef li conosco di persona, vado nei loro locali. Io preferisco la formula trattoria italiana di famiglia. Però la nostra cucina è talmente varia che comprende tutto.»

Lei ha lavorato anche con Lattuada. Cosa ricorda?

«Con lui ho girato Oh Serafina. Siccome molte scene prevedevano che io interagissi con gli uccelli, per un paio di mesi ho vissuto in una casa sul Lago Maggiore, protetta da una grande rete, con centinaia di uccelli. Piano piano si sono abituati a frequentarmi, si posavano sulla testa, sulle mani, e infatti nel film si vede. Alla fine delle riprese Lattuada ha voluto liberarli in piazza Duomo da una grande gabbia che ho ancora a casa mia.»

Il ragazzo di campagna è forse il suo film più popolare. Secondo lei a cosa è dovuto il successo?

«Non so, ma è famoso anche tra i giovani, grazie alle innumerevoli repliche. Pensi che tra pochi giorni, come ogni anno, un gruppo di centinaia di miei fan si ritrovano, piazzano le sedie su un prato e guardano passare il treno, proprio come nel film. Poi si va tutti a mangiare, eh!»

Su che progetti sta lavorando?

«Innanzitutto mi occupo della mia Locanda Pozzetto a Laveno Mombello. Ha una stupenda vista sul lago e uno chef eccezionale, Luigi Pavanello. Tra un mese sarò a teatro con lo spettacolo Compatibilmente. Intanto sto scrivendo un film che mi piacerebbe realizzare, Una mucca in paradiso, la storia di un contadino che porta la sua vacca su un prato cresciuto in cima al grattacielo di Milano “Il Bosco Verticale”. Una vicenda che mi sembra molto attuale.»